Catalent e le lezioni non imparate dall'Italia. Parla il n°1 di Farmindustria

Giuseppe De Filippi

Dalla burocrazia alle aziende che lasciano l'Italia: "La consapevolezza portata dalla pandemia dell’importanza e della strategicità del settore spinga la politica verso una riforma che ammoderni le regole. Dobbiamo attrezzarci per non perdere altre opportunità. E ce ne sono", dice Massimo Scaccabarozzi

“Tutti definiscono il nostro settore importante e strategico, ma resta sottoposto a regole burocratiche, di governance, di politica sanitaria, senza rendersi conto che quell’insieme di regole costituisce per noi quello che per un altro settore sarebbe il complesso della politica industriale”. Prendiamo spunto, ovviamente, dalla scelta di non investire ad Anagni (Frosinone), dove già hanno un efficiente stabilimento, da parte della multinazionale Catalent, per raccogliere le opinioni del presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi. Se da parte politica c’è stata una serie di interventi indignati, quasi fuori misura, per reagire alla decisione del management di Catalent, Scaccabarozzi tenta di mantenere la sobrietà con cui poi far emergere i veri problemi, senza alzare generici polveroni contro la burocrazia o chissà cosa. Il nodo è di politica industriale, ci dice, per far capire che va bene l’indignazione politica ma bisogna mettere mano a cambiamenti legislativi profondi e duraturi, rovesciando la prospettiva spesso ostile all’industria farmaceutica se non proprio persecutoria.

 

Anche perché il Covid, ci dice, “è stato un acceleratore di politiche sanitarie in tutta Europa, tutti hanno notato che l’offerta di sanità e quella farmaceutica sono strategiche e legate anche alla sicurezza nazionale e tutti hanno agito di conseguenza, ed è partita una competizione anche tra paesi europei nell’attrazione di investimenti e competenze. Noi che eravamo primi in Europa ora siamo a pari merito con la Germania e ci sta raggiungendo la Francia. Quindi dobbiamo attrezzarci per non perdere altre opportunità. E ce ne sono altre, oltre a quella forse sfumata di Anagni, perché non siamo all’ultimissima parola. Sempre nel Lazio, a Ferentino, quindi senza allontanarsi troppo da Anagni, c’è un’azienda che si chiama Biomedica Foscama dalla quale è arrivato un investimento molto rilevante per produrre non solo il vaccino per il Covid ma direttamente la siringa già preriempita, che vuol dire avere le massime capacità tecniche e una perfetta gestione dell’impianto produttivo. Poi è chiaro che in termini prospettici abbiamo bisogno di un paese che creda in questo settore anziché cercare sempre di comprimerne le potenzialità o di colpirlo con meccanismi sui prezzi, come il payback, ormai completamente superati nella logica legislativa e nel senso politico. Un investitore estero, che non ha uno speciale affetto per nessun paese, guarda a queste cose”.

  

Da queste politiche potrebbe anche essere derivato per l’Italia un ruolo da sgobbona nel farmaceutico, da paese che però ospita quasi solo produzioni a basso valore aggiunto e con poco contributo dalla ricerca avanzata. Scaccabarozzi risponde senza neanche far finire bene la domanda per contestare completamente queste affermazioni. “No, no, l’Italia non sarà la prima in Europa ma è molto presente nei processi di ricerca, il 23 per cento di tutti gli studi clinici europei sono fatti in Italia e tutte le fasi, dalla scoperta delle novità al lavoro sulla loro utilizzazione, vedono l’Italia pienamente dentro a un sistema che non è più legato a un singolo paese ma è partecipato da tanti. Perché qui c’è un’industria farmaceutica importante e un’accademia di rilievo, con i nostri scienziati sempre in posizioni da podio. E la prova è che, malgrado i problemi indicati, gli investimenti, Anagni a parte, continuano ad arrivare. Noi ci auguriamo, però, che la consapevolezza portata dalla pandemia dell’importanza e della strategicità del settore faccia muovere la politica verso una riforma che ammoderni le nostre regole”.

 

Siamo un po’ antiquati nella produzione, con solo farmaci vecchio stampo? No – ci dice Scaccabarozzi – anzi, siamo ben presenti sulle nuove frontiere, ad esempio per gli anticorpi monoclonali e per gli antivirali c’è una parte di ricerca e di produzione nel nostro paese, nei centri di Parma e Latina per gli anticorpi monoclonali e ad Ascoli Piceno per gli antivirali. Siamo stati i quarti al mondo per numero di studi sul Covid nel 2020, mentre Eurostat, smentendo alcune critiche di anni fa su una nostra debolezza specifica, ha certificato che l’Italia è quarta in Europa per export di vaccini Covid, con un miliardo e seicento milioni di dosi”.
 

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