(foto di Adam)

Guerra delle monete

Non c'è possibilità di far a meno del dollaro come valuta di riserva

Giorgio Arfaras

Lo strapotere della moneta americana non finirà. Solo negli Stati Uniti (e in parte in Europa) si trovano le condizioni perchè la valuta nazionale diventi riserva anche all'estero

La reazione all’invasione dell’Ucraina è stata immediata e duplice. Da un lato la resistenza interna dei suoi cittadini, dall’altro le sanzioni dei paesi liberali, con queste ultime articolate in quelle decise dagli Stati e in quelle decise dai privati. In molti hanno estrapolato delle conclusioni a partire dalla guerra in corso.  Una prima, di natura finanziaria: il congelamento delle riserve valutarie della Russia – una delle sanzioni maggiori, porterà molti paesi timorosi di poter essere un giorno sanzionati a uscire dalle valute che oggi sono di riserva. Una seconda, di natura reale: il congelamento delle esportazioni verso la Russia, come quelle legate alla tecnologia – un’altra delle sanzioni maggiori, porterà, e per le stesse ragioni di prima, a un aumento dello scambio commerciale fra le autocrazie.  Osserviamo la prima delle due estrapolazioni. Mettiamo a confronto il dollaro, l’euro, lo yuan, e il rublo. Osserviamo il loro comportamento come monete di riserva effettive – le prime due, o candidate secondo molti – le seconde due, e tentiamo una classifica di idoneità, una specie di rating. 

 

Una moneta di riserva è tale se il suo valore è preservato anche in presenza di eventi più o meno gravi. Altrimenti detto, non è la routine l’ambito di osservazione, ma che cosa può accadere in caso di crisi. Per routine si intende la moneta come “mezzo di pagamento” degli scambi commerciali. Per comportamento in caso di crisi si intende la moneta come “riserva di valore”. Il che tradotto nel dibattito corrente ha un significato preciso. Lo yuan o il rublo possono anche diventare (in parte modesta il primo lo è) un mezzo di pagamento, ma ben altra funzione è quella di fungere da riserva di valore.

 

Vediamo perché. Il paese che detiene la moneta di riserva deve avere una forza militare in grado di scoraggiare ogni tentativo di conquista o di influenza rovinosa (condizione 1); deve essere in grado di minacciare chi non sta alle regole del gioco attraverso il sequestro di beni dei riottosi; deve, in altre parole, offrire la certezza del diritto alla comunità internazionale (condizione 2); il paese con la moneta di riserva deve possedere una tecnologia capace di mantenere un vantaggio sui nemici (condizione 3); in caso di guerra protratta, il paese con la moneta di riserva deve avere delle risorse sufficienti per sopravvivere; l’autosufficienza alimentare gioca quindi un ruolo importante (condizione 4); infine, il paese con la moneta di riserva deve avere dei mercati finanziari molto liquidi in grado di assorbire gli eventi negativi di un certo peso (condizione 5). Delle cinque condizioni la Cina ne soddisfa quasi due, come la Russia. L’Europa e gli Stati Uniti tutte. Naturalmente, chi non fosse d’accordo con i rating proposti può pensarne di diversi. Per esempio, l’Europa – la prima condizione – non è in grado di intervenire militarmente nel mondo, ma molto difficilmente può essere invasa, che è come dire che è una specie di super Svizzera. Volendo dare ai rating delle sfumature, allora gli Stati Uniti avrebbero nella riga della forza militare un sì++,  e l’Europa un sì.

 

 

La quinta condizione. Per avere un’idea della dimensione dei mercati necessaria perché una moneta sia una riserva di valore in un mondo globale, osserviamo la struttura finanziaria verso il resto del mondo degli Stati Uniti, della Cina, e della Russia. I numeri mostrati sono di una decina di anni fa. Le differenze sono così grandi che anche un non modesto mutamento nei flussi che possa esserci stato da allora non può avere ribaltato la differenza abissale (la fonte dei numeri è Esvar S. Prasad, “The Dollar Trap: How the U.S. Dollar Tightened Its Grip on Global Finance”, Princeton U.P., 2014). Si hanno gli investimenti all’estero dei tre paesi. Gli investimenti diretti come gli impianti, e indiretti come le azioni e le obbligazioni. Gli Stati Uniti avevano qualche anno fa investito all’estero undici volte più di quanto non abbiano investito all’estero la Cina e la Russia insieme. Si hanno gli investimenti dell’estero nei tre paesi. L’estero aveva investito negli Stati Uniti in investimenti diretti come gli impianti e indiretti come le azioni e le obbligazioni trenta volte più di quanto l’estero non abbia investito in Cina e in Russia insieme. Le riserve valutarie delle banche centrali cinese e russa sono ottanta volte quelle della Banca centrale statunitense. Il numero non è significativo, perché la Banca centrale statunitense non ha quasi riserve per l’ovvia ragione che emette lei la moneta di riserva. 

 

Conclusione, gli investimenti esteri degli Stati Uniti sono in impianti, azioni e obbligazioni, e quindi sono “propulsivi”. Gli investimenti esteri della Cina e della  Russia in impianti, azioni e obbligazioni, oltre che essere molto modesti rispetto a quelli degli Stati Uniti, sono inferiori alle loro riserve, che sono investite in buoni del Tesoro altrui. I loro investimenti esteri sono quindi “passivi”.  Gli allarmi che suonano – i cinesi e russi sono una potenza emergente e gli Stati Uniti e l’Europa, se non soccomberanno, certamente vedranno il loro potere ben presto ridotto e di molto – sembrano anticipare un po’ troppo gli eventi. L’economia reale – il pil – di molti paesi che sono quasi emersi – come la Cina – o che sono emergenti – come l’India – è diventata ragguardevole. Il pil assoluto è ragguardevole, quello pro capite, avendo loro delle popolazioni immense, è modesto. Il loro pil assoluto sarà anche ragguardevole, ma l’economia funziona come intreccio fra quella reale e quella finanziaria, con quest’ultima che è concentrata negli Stati Uniti e in Europa. 

 

Tale ricchezza finanziaria mobilita gli investimenti nel resto del mondo e, nello stesso tempo, agisce come riserva di valore del resto del mondo. In caso di crisi, ma anche in condizioni normali, i benestanti dei paesi autocratici, come accade in Russia, ma non solo, “portano i soldi all’estero”, mentre a nessun statunitense o europeo verrebbe in mente, in condizioni normali, ma neppure in caso di crisi, di portare i soldi in Russia. Va notato che i russi – intesi come privati – possono portare i soldi all’estero, mentre i cinesi – intesi come privati – non possono farlo, quanto meno facilmente. I cinesi, infatti, investono come istituzioni e come imprese all’estero, ma non come diversificazione di portafoglio dei privati.  Per avere un’economia sviluppata, alla fine, si deve avere “certezza del diritto” – la seconda condizione della tabella. Senza la certezza che i contratti saranno onorati nessuno investe nel lungo termine, ossia, nessuno rinuncia al consumo di oggi per avere una ricchezza maggiore domani.

Di più su questi argomenti: