Il blitz respinto dei sindacati sulla riforma fiscale

Luciano Capone e Valerio Valentini

Landini prova a far cambiare l’accordo di maggioranza sul fisco. L'uovo di Colombo di Draghi è un "contributo di solidarietà" che annulli il taglio dell'Irpef ai ricchi, ma la maggioranza si divide: il M5s è scettico; Lega, Fi e Iv sono contrari, il Pd fa un po' di giravolte e alla fine resta tutto com'era

La riforma fiscale, che era stata decisa con l’accordo di tutte le forze di maggioranza, viene riconfermata ma con il disaccordo tra i partiti di maggioranza. L’esito è lo stesso, ma il governo ne esce lacerato. E’ questa la sintesi di una giornata concitata e di un Consiglio dei ministri in cui il ministro dell’Economia Daniele Franco e il premier Mario Draghi hanno tentato di trovare un’intesa per modificare l’accordo sulla distribuzione degli 8 miliardi riservati al taglio delle tasse dopo l’insoddisfazione espressa al premier dai sindacati. A Cgil, Cisl e Uil non andava bene che anche i ricchi beneficiassero della riduzione fiscale e così hanno chiesto di annullare il taglio dell’Irpef per le fasce di reddito più elevate.

 

L’ipotesi messa sul tavolo era un “contributo di solidarietà” per i redditi superiori a 75 mila euro (circa 1 milione di contribuenti) per contenere l’aumento del costo dell’energia per le famiglie. L’intervento, dal valore di circa 250 milioni di euro, era un uovo di Colombo: un mancato taglio temporaneo (quindi non molto punitivo per i “ricchi”) che sarebbe andato incontro alle richieste dei sindacati con la giustificazione del caro bolletta. Ma la maggioranza si è spaccata, da un lato Pd e Leu favorevoli e dall’altro M5s, Lega, Forza Italia e Italia viva contrari.  

 

Che i 250 milioni del “contributo di solidarietà” servissero a dare una concessione simbolica ai sindacati più che a reperire fondi per far fronte al rincaro dell’energia, è evidente dal fatto che tramontata l’ipotesi il governo ha immediatamente trovato una soluzione alternativa mettendo contro il caro bollette 300 milioni, recuperati da altre partite di bilancio (lo stanziamento sale così a 2,8 miliardi per il primo trimestre 2022). Né si può dire che il punto politico principale fosse l’attenzione all’equità e a evitare spese regressive, visto che quando Draghi e Franco hanno provato a contenere l’enorme spesa del distorsivo Superbonus 110%, di cui beneficiano in misura maggiore i più ricchi, non hanno trovato un grande appoggio politico dalle forze progressiste. Anzi, tutte le pressioni nella maggioranza sono andate in direzione opposta.

 

Il contributo di solidarietà non è passato non solo perché nella maggioranza non se ne condivideva il merito, ma anche per una questione di metodo. I ministri forzisti Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, insieme alla renziana Elena Bonetti, hanno fatto presente che non era accettabile, e che comunque sarebbe stato un pessimo precedente per il governo, rivedere un accordo a causa dell’ultimatum dei sindacati. E così si fa complicata la situazione per questi ultimi, che attendevano di poter sventolare questa bandierina far rientrare lo stato di agitazione. Il direttivo della Cgil era in attesa di questo segnale che non è arrivato, e ora toccherà a Maurizio Landini decidere cosa fare, cercando sempre di tenere unito il fronte sindacale con la Uil e soprattutto con la Cisl che non è proprio entusiasta all’idea dello sciopero generale.

 

La Cgil è delusa anche dal ministro del Lavoro Andrea Orlando, che ha convocato il tavolo sulla riforma delle pensioni troppo in là nel tempo, tra due settimane. E questa situazione mette in una posizione imbarazzante il Pd, che in questa guerra tra Draghi e sindacato non si capisce quale posizione abbia. Prima stringe l’accordo sull’Irpef che non piace alla Cgil e subito dopo vuole cambiarlo come vuole la Cgil, ma senza riuscirci.

 

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