(foto Ansa)

Così il governo ha avallato la doppia irresponsabilità dell'Inpgi

Luciano Capone

Draghi non avrebbe mai consentito il salvataggio di una banca in dissesto con le modalità con cui oggi ha salvato la cassa dei giornalisti

Mario Draghi ha un occhio di riguardo per i giornalisti. Da governatore della Banca d’Italia e da presidente della Banca centrale europea non avrebbe mai consentito una risoluzione o un salvataggio di una banca in dissesto con le modalità adottate per l’Inpgi. La cassa previdenziale dei giornalisti è fallita, in parte per lo squilibrio tra lavoratori attivi e pensionati dovuto alla crisi del settore, ma in parte per l’elargizione di pensioni sulla base di criteri retributivi enormemente più generosi rispetto all’Inps (le aliquote di rendimento del retributivo sono state e sono tuttora più alte di quelle dei lavoratori dipendenti e i giornalisti sono passati al contributivo pro rata solo nel 2017, vent’anni dopo la riforma Dini).

Questa gestione allegra è stata doppiamente premiante, prima perché per vent’anni i giornalisti si sono attribuiti prestazioni più elevate in nome dell’“autonomia” e poi perché, dopo che il sistema si è rivelato insostenibile, il governo garantisce questi “diritti acquisiti” anche per il futuro. A pagare saranno gli altri contribuenti. Il costo, secondo la relazione tecnica della legge di Bilancio, è in media di 250 milioni di euro l’anno nel decennio, con un trend crescente che si avvicina ai 300 milioni annui nel 2030. A differenza di ciò che avviene con le banche, ci sarà un salvataggio a carico dello stato (bail-out) ma senza alcuna compartecipazione del privato (bail-in).

Ai giornalisti in pensione non viene richiesto alcun “sacrificio”, che in realtà vorrebbe dire avvicinarsi al trattamento che l’Inps riserva ai comuni cittadini. Nella legge di Bilancio, infatti, viene sospesa la norma della legge istitutiva dell’Inpgi che prevedeva la nomina di un commissario straordinario che avrebbe dovuto adottare provvedimenti per riequilibrare il disavanzo. E non solo non ci sarà questa correzione, ma grazie all’intervento del governo salta anche il contributo straordinario quinquennale dell’1% per il riequilibrio della gestione previdenziale approvato dall’Inpgi a giugno. Si tratta di un un mini contributo che avrebbe inciso su meno di un decimo del disavanzo previdenziale: siccome è del tutto insufficiente ad aggiustare i conti, è la posizione del governo, allora non verrà richiesto affatto. Così i giornalisti non solo non vedranno toccate le loro generose prestazioni ma saranno premiati per la gestione irresponsabile dell’Inpgi con una pensione più alta dell’1% rispetto al previsto per i prossimi 5 anni.

Non finisce qui. C’è un premio per l’irresponsabilità finanziaria che viene garantito anche alla classe dirigente protagonista di questa gestione fallimentare, che potrà continuare ad amministrare l’Inpgi in formato mignon. L’istituto non verrà liquidato integralmente, proseguirà l’esistenza dell’Inpgi 2, ovvero la gestione separata che riguarda i giornalisti autonomi e precari, che è in attivo. Così il governo Draghi non solo fa un bail-out senza bail-in, ma si accolla attraverso l’Inps solo la bad company (che macina un disavanzo da 250 milioni) lasciando la good company (che registra un avanzo di 38 milioni) in mano a chi ha prodotto la voragine di debiti. Tra l’altro, l’Inpgi 2 è in attivo per il semplice fatto che ha tanti giovani contribuenti e pochissimi pensionati. Ciò vuol dire che nel futuro è probabile che all’Inpgi 2 toccherà la stessa sorte della sorella maggiore, non fosse altro perché si tratta di una cassa che copre un piccolo pezzo, per giunta precario, di una singola professione e quindi con rischi di sostenibilità dovuti a shock del settore molto elevati. Alcune tendenze di fondo già si iniziano a vedere, con la spesa pensionistica in costante aumento. Inoltre tenere in piedi l’Inpgi 2, oltre a concentrare i rischi, fa lievitare anche i costi. Se l’Inps si farà carico di 100 dipendenti dell’Inpgi 1, come prevede la legge di Bilancio, quasi altrettanti resteranno a carico dell’Inpgi 2. Con una dinamica preoccupante. A partire dal 2020 i costi di struttura sono esplosi, da 5 a 10 milioni di euro l’anno, perché l’Inpgi ha deciso, da un anno all’altro, di raddoppiare i costi indiretti da imputare all’Inpgi 2. Così ora la gestione separata ha costi di funzionamento che sono pari alla spesa per pensioni e altre prestazioni, una quota enorme rispetto al piccolo bilancio dell’Inpgi 2 e che è destinata a lievitare ulteriormente visto che con la chiusura dell’Inpgi 1 mancheranno alcune economie di scala.

Una cassa pensionistica del genere ha senso di esistere solo per la garanzia implicita dello stato, ma proprio questo è ciò che spinge a una gestione poco responsabile. Se c’è qualcosa che tutte le casse pensionistiche impareranno dal salvataggio dell’Inpgi è che l’azzardo morale è molto conveniente. E questa, purtroppo, è la lezione che non ci si aspettava da un banchiere centrale come Draghi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali