Alle start up servono grandi capitali, non bastano gli incentivi del Sostegni-bis

Gianluca Carini

"Lo stato e il mondo imprenditoriale devono mostrare più coraggio e investire in innovazione. Solo così si mette in moto un circolo virtuoso in grado di favorire le giovani imprese digitali". Parla Nalucci (Gellify)

“Andrò controcorrente: nel Regno Unito magari ci metti meno ad aprire una società, ma il problema italiano non è la burocrazia. Mancano gli investimenti delle grandi famiglie e l’aiuto dello stato, anche sotto il profilo fiscale. Il fondo di Macron per le start up è dieci volte quello italiano”. A parlare è Fabio Nalucci, fondatore di Gellify, una società di Casalecchio di Reno (Bologna) che aiuta le start up digitali a crescere e le mette in contatto con imprese più strutturate che vogliono rinnovarsi.

 

Cosa succede altrove?

“Pensa a Space X: gli Usa, attraverso la Nasa, hanno stipulato un contratto con Elon Musk per rinnovare le tecnologie aerospaziali. E questo è un vero e proprio finanziamento, non una commessa. Perché non si può fare in Italia per una nuova generazione di cyber security o di intelligenza artificiale?”

 

Con il decreto sostegni-bis sono previsti degli incentivi economici a chi vuole investire in start up innovative. Una grande opportunità sono poi i fondi del Pnrr. Vedi all’orizzonte una sorta di piano keynesiano che aiuti queste imprese?

Diversamente da Keynes, io non auspico che si facciano buche per terra per poi riempirle, solo per far lavorare la gente. Oggi c’è una chance di investire in buone idee. Per questo è importante che ci sia una classe dirigente seria, che venga anche dal mondo imprenditoriale. 

 

Dove andrebbero destinati questi soldi?

Sull’innovazione. Su 200 miliardi di euro del Pnrr, ne bastano 10 alle start up digitali se gli altri sono spesi per innovare. Così metteremmo in moto un circolo virtuoso che finanzierebbe queste imprese. Perché, alla fine, abbiamo bisogno di società che facciano utili e assumano. Sennò tra cinque anni finiscono i soldi e siamo punto e a capo. Io lo vedo nel quotidiano, le società che hanno il pallino dell’innovazione sono anni luce avanti rispetto a quelle ferme alla battaglia sui prezzi.

 

Qual è la situazione in Italia a livello di start up digitali?

L’Italia non è un paese di unicorni. Questo per due motivi: per creare unicorni devi avere un grande mercato (non a caso molti sono in Cina, India e Stati Uniti) e disponibilità di capitali. Da noi mancano entrambi, nonostante le idee buone ci siano. Pensa a Depop: nata nel 2011 in Italia, già nel 2012 è dovuta andare a cercare capitali nel Regno Unito.

 

Però il mercato digital ha confini più ampi di quello nazionale. E, riguardo alla mancanza di capitali, da noi il risparmio privato è notoriamente molto alto. Perché non viene investito?

Rispetto al primo punto, per conquistare mercati internazionali devi fare la validazione di mercato e tendi a farla nel mercato di origine. E il nostro paese non è considerato all’estero uno start up country ma un fashion o un food country. Non è un caso che gli unici unicorni italiani siano Yoox e Depop, due e-commerce di moda. È quindi molto più complesso emergere di quanto non lo sia per una start up inglese o tedesca. E su questo, come ho detto, lo stato non aiuta. 

Sulla mancanza di investimenti io sono molto critico con il nostro sistema imprenditoriale. È vero, da noi ci sono tante signore Marie che hanno risparmiato una vita e hanno 200 mila euro sul conto, ma il problema sono le famiglie con grandi disponibilità di capitali che non investono. Io opero con tante famiglie importanti, ma spesso alla pari. Il che fa ridere se pensi alla differenza di mezzi. Serve più coraggio, soprattutto sul B2B (investimenti tra aziende, ndr).

 

Perché il B2B?

È nella nostra storia, abbiamo un sacco di eccellenze che fanno prodotti per altre società anche se magari sono sconosciute al grande pubblico. Pensa a UFI Filters, leader mondiale nella produzione di filtri. IMA oggi è conosciuta per Gianluca Vacchi, ma Coesia – altro champion per le macchine automatiche – non è un marchio noto ai consumatori. Nel mondo dei software dovremmo cercare di replicare questi modelli.

 

Far crescere le start up è una delle mission di Gellify. Come ci riuscite?

Gellify nasce nel 2017 da una mia idea. Dopo aver venduto due aziende, ho iniziato investire nei software B2B. Molte imprese faticano nella scalabilità (far crescere clienti e volume d'affari senza aumentare proporzionalmente le risorse investite, ndr). Ho capito in fretta che il problema non era solo finanziario ma anche gestionale e di ricerca della clientela. Per questo ho messo su un team che supportasse queste imprese anche negli aspetti non finanziari, riducendo la curva di apprendimento, e proponesse alle grandi società i prodotti innovativi delle start up che finanziavo. Oggi siamo in 170 tra Bologna, Milano, Barcellona, Dubai con una sessantina di clienti tra grandi aziende e piccole e medie imprese. 

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