La sede della Banca d'Italia (Ansa)

L'ottimismo della ragione vede un boom economico alle porte

Stefano Cingolani

Intorno al 4,7 per cento le previsioni di crescita del pil. Bene anche l’export. Le voci di Cipolletta, Fortis, De Felice

Rimbalzo, ripresa? Di più, molto di più: sta per arrivare un vero e proprio boom economico. Le statistiche sono un passo indietro rispetto ai segnali che vengono dalle imprese e dalle famiglie. E questa volta non si tratta solo di una molla a lungo compressa o dell’euforia che contagia tutti una volta usciti dal grande panico. C’è dell’altro. Prometeia indica un aumento del prodotto lordo del 4,7 per cento per quest’anno e un +4,3 per cento per il prossimo. Deutsche Bank ipotizza addirittura un +4,9 per cento seguita da +5,1, sette decimali in più della stima della Commissione europea. Intesa Sanpaolo ha rivisto al rialzo le sue previsioni al 4,6 per cento. Il prudente Istat ora stima +4,7 quest’anno e +4,4 nel 2022 grazie alla risalita della domanda interna, alla ripresa degli investimenti (più 10,9 per cento) e alla spesa delle famiglie. Ma anche le esportazioni tirano. Prendendo i dati grezzi in valore, e confrontando febbraio 2021 con febbraio 2019, l’export tedesco è sceso dello 0,5 per cento, quello francese del 10,2, mentre quello italiano è cresciuto dell’1,4; a marzo l’Italia è balzata al 9,1 per cento, la Germania al +7,4 e la Francia è scesa del 3,9 per cento.

 

Nella sua ultima relazione, la Banca d’Italia, ottimista con giudizio, ha più volte messo in risalto che questa crisi è diversa dalle precedenti. Secondo le sue indagini, “a differenza di quanto accaduto nelle altre fasi recessive, gran parte delle imprese appare pronta a riprendere l’accumulazione se si confermerà il miglioramento della situazione sanitaria, anche grazie alle condizioni di finanziamento molto favorevoli”. I programmi formulati dalle aziende per il 2021 prefigurano “un vigoroso aumento”. Inoltre, l’effetto della pandemia sulle esportazioni è stato forte, ma temporaneo: “Dopo un brusco calo nel primo semestre, hanno ripreso slancio, tornando nei mesi finali del 2020 sui livelli precedenti la diffusione del contagio; rispetto ad altri episodi di recessione globale, la quota dell’Italia sul commercio mondiale di beni è rimasta pressoché invariata”.
Innocenzo Cipolletta, ottimista da sempre, questa volta lo è ancor di più, non solo per i segnali che vengono dalla congiuntura, ma per un cambiamento di fondo indotto dalla pandemia. “La ripresa in tutto il mondo sarà spinta dalla domanda interna dei principali paesi e non più in prevalenza dalle esportazioni come è accaduto nell’ultimo mezzo secolo”,  spiega al Foglio. “Per molti versi è un ritorno agli anni 50-60; anche allora le esportazioni erano importanti, ma in conseguenza di una economia solida all’interno. Dagli anni 80 in poi, anche in risposta alla crisi del decennio precedente, l’impulso è arrivato principalmente dal mercato mondiale e il requisito fondamentale per partecipare al grande gioco era la competitività. Al lungo ciclo di crescita trainata dall’esterno hanno contribuito la liberalizzazione della finanza, l’irrompere sulla scena dei paesi in via di sviluppo, la necessità di tenere sotto controllo le materie prime a cominciare dal petrolio. Tutti fattori che restano fondamentali, sia chiaro, tuttavia questa inversione delle priorità offrirà alle imprese, in particolare a quelle italiane, occasioni maggiori che nel passato”. 

 

Eppure le previsioni parlano di un forte rimbalzo fino al 2022 e poi di un ritorno al trend di lungo periodo che per l’Italia significa crescita debole (attorno a un punto percentuale l’anno), insomma l’onda si spegne via via. Cipolletta ricorda che Dante colloca gli indovini all’Inferno con la testa e il collo girati verso le spalle. Se invece guardiamo avanti vediamo gli Stati Uniti che, con il mega sostegno varato da Biden, sono destinati a un forte sviluppo per un buon numero di anni, ma anche la Cina ha ormai decisamente puntato sul proprio mercato interno. L’economia mondiale crescerà quest’anno del 5,6 per cento, la maggiore velocità post-recessione da 80 anni. Lo prevede la Banca Mondiale rivedendo al rialzo la precedente stima del 4,1 per cento. A tirare sono proprio gli Usa e la Cina, e l’Europa è destinata a seguire sia pure a una certa distanza. L’Italia potrà aumentare il proprio potenziale economico grazie al Pnrr, ma non solo. Nonostante l’impatto negativo della curva demografica (pochi figli, popolazione sempre più vecchia) donne e giovani sono sottoccupati, c’è dunque ampio spazio per impiegarli di più e con paghe migliori, sottolinea Cipolletta.

 

È l’edilizia ora a fare da locomotiva, sottolinea Marco Fortis. Rispetto al primo trimestre del 2019, quindi un anno prima del Covid, l’Italia ha fatto registrare un incremento dell’8,2 per cento, contro il +1 per cento della Germania, il -6,3 della Francia e il -18 della Spagna, in base all’indice di produzione delle costruzioni destagionalizzato con base 2015 uguale a 100. “Abbiamo un settore delle costruzioni il quale, grazie anche alle operazioni di ristrutturazione incentivate, ha vissuto un’accelerazione che naturalmente si riverbera sui settori che lo riforniscono: materiali da costruzione, macchinari, componentistica. In buona sostanza abbiamo una manifattura in ripresa, un export che mostra segnali di vivacità e le costruzioni in crescita grazie anche ai bonus. Considerando la ripresa del turismo e dei servizi, oltre ai primi effetti del Pnrr, ci sono tutte le condizioni che giustificano ritocchi all’insù nelle previsioni sul pil”. Siamo al punto che nei cantieri mancano i muratori. “Avremo città più belle e minori consumi energetici”, aggiunge Cipolletta, non si tratta solo di una spinta congiunturale, ma di un cambiamento qualitativo.

 

Per Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, l’ottimismo questa volta proviene anche dalla ragione, dai fatti e dalle cifre. E la spinta estera ancora una volta sarà determinante. È vero che in tutti i principali paesi la domanda interna avrà un ruolo maggiore rispetto al passato, ma gli Stati Uniti cresceranno del 7,5 per cento, la Cina dell’8,6, l’India del 9,4, e da qui verranno nuove chance per l’Italia. Affinché la ripresa diventi uno sviluppo duraturo, si tratta di bilanciare nel modo migliore le due componenti della domanda e di realizzare le riforme (a cominciare da giustizia e pubblica amministrazione). E’ questa la condizione per cambiare passo. “Dal 2000 al 2019 la Germania è cresciuta dell’1,8 per cento medio annuo, l’Italia che ha una struttura economica simile, dello 0,4 per cento. Non può essere questa la normalità. Adesso o mai più, se falliamo le conseguenze saranno enormi per la posizione dell’Italia in Europa e per la stessa costruzione europea”. I 191 miliardi di euro che arriveranno dalla facility europea per la ripresa e resilienza, rappresentano il 42 per cento dei fondi richiesti che ammontano a 458 miliardi. Molte sono le potenzialità inespresse: i giovani, le donne, il sud. “La vecchia idea del Mezzogiorno dipendente va superata”,  dice De Felice al Foglio: “Se fosse uno stato indipendente, grazie alla sua industria manifatturiera sarebbe l’ottavo paese industriale europeo; inoltre è in una posizione centrale nel Mediterraneo che lo rende fondamentale per i trasporti marittimi e la logistica: infine, il capitale umano esiste e in abbondanza. È vero, i giovani se ne vanno, ma questo è il punto. Il Pnrr dedica il 40 per cento della spesa al Mezzogiorno. Dunque non mancano le risorse, quelle pubbliche e quelle private”.

 

Tutto va bene madama la marchesa? No. Bisogna stare attenti a ingiustificati aumenti dei prezzi e alla dinamica del debito pubblico, inoltre le imprese hanno bisogno di più capitali propri. Secondo l’indagine della Banca d’Italia, la spesa per investimenti si riporterebbe sopra i livelli del 2019 per le aziende con oltre 500 addetti, mentre restano contenuti i piani delle piccole che hanno tirato avanti con debiti garantiti dallo stato. Nel 2020 è aumentato l’indebitamento, interrompendo la riduzione che proseguiva pressoché ininterrotta dal 2011. I debiti finanziari sono saliti al 76,9 per cento del pil, anche se restano a un livello inferiore rispetto alla media dell’area dell’euro. “Circa un terzo delle società intervistate nell’ambito dell’indagine Invind si attende nel 2021 un incremento dell’indebitamento di almeno 3 punti percentuali rispetto all’inizio del 2020; il 10 per cento ha in programma di attuare entro la fine dell’anno una strategia di ri-patrimonializzazione, ricorrendo principalmente all’apporto di capitali da parte dei soci attuali. Il ribilanciamento nella composizione delle fonti di finanziamento a favore dei mezzi propri, auspicabile per tutte le imprese, sarà particolarmente rilevante per quelle di minore dimensione, più esposte al persistere di squilibri in seguito a fasi recessive”. 

 

L’Assonime, l’associazione delle società quotate, della quale Cipolletta lascia la presidenza dopo due mandati, ha presentato come fa ormai sempre più spesso, proposte concrete da sottoporre al governo: contributi a fondo perduto per le aziende più piccole, prestiti partecipativi con la garanzia pubblica sul modello francese, per le aziende fino a 50 dipendenti, un fondo dei fondi per canalizzare risparmio verso le imprese medie il cui accesso al mercato è difficile se non impossibile. “L’Italia ha tanto risparmio, ma oggi viene impiegato in gran quantità all’estero sui mercati più maturi, creando un vero e proprio spiazzamento; si possono introdurre degli incentivi, anche fiscali, affinché venga investito in Italia. Per esempio i fondi previdenziali vengono tassati sul capitale maturato anziché al momento in cui vengono liquidati come avviene in molti altri paesi: perché non concedere questa possibilità a chi investe in patria?”.

 

La pandemia ha fatto crescere del 10 per cento i depositi in banca, che sono arrivati a 1.749 miliardi di euro, una notevole potenza di fuoco per i consumi e per gli investimenti. Le aziende che si “ripatrimonializzano”, per usare l’espressione di Bankitalia, avranno bisogno di incentivi, altri sussidi, nuovi sostegni? “Anche qui ci sono grandi distanze tra settori e tra aziende, tuttavia le imprese hanno 400 miliardi di euro nei conti correnti delle banche – spiega De Felice – E’ una riserva consistente per cogliere questo momento storico e il suo impatto strategico. Il capitalismo si fonda sulla creazione di sempre nuova domanda da soddisfare, il continuo cambiamento è nella sua natura. L’occasione è ora rappresentata dalla transizione ecologica. Le imprese italiane hanno dimostrato nel passato di essere capaci di trasformarsi con rapidità e intelligenza. Oggi debbono compiere un nuovo salto tecnologico, organizzativo, produttivo, culturale, ma possono farlo”.