editoriali

Una svolta per la nostra Big Pharma

Redazione

I milioni per il polo vaccinale sono inutili senza una politica industriale

C’è il tentativo di mettere su in fretta e furia un progetto di produzione nazionale dei vaccini. Nella penuria di indicazioni governative, seguita alla sbornia precedente, se ne parla molto e tendendo a prenderlo molto sul serio. Ma né le finalità né gli strumenti del piano sono chiari e condivisibili. L’Italia è un esportatore netto di farmaci, ma non è il paese che detiene la parte più ricca della filiera produttiva e cioè quella di ricerca e sviluppo. Per capire, le aziende italiane, o meglio, basate in Italia, sono specializzate nella fase di produzione e confezionamento del farmaco. Questa è la situazione e forse non è quella preferibile, ma per cambiare gli equilibri servirebbe un forte investimento in capitale di rischio e un saldissimo raccordo tra centri di ricerca privati, università pubbliche e ospedali, in modo da avviare in Italia anche la prima fase della filiera.

 

Ottima idea ma non si realizza in pochi mesi con qualche riunione ministeriale. E soprattutto si realizza con gradualità e non buttandosi solo sulla hit del momento, ovvero i vaccini contro Sars-Cov-2. Invece, spinti da una corrente sovranista si parla di autonomia vaccinale entro qualche mese. Tutto grazie a uno stanziamento di 500 milioni di euro. Sembra una grande somma ma è la metà di ciò che si deve immobilizzare per lo sviluppo di una sola molecola innovativa. Insomma, sembra politica industriale velleitaria, modello tardi anni Settanta. In più a fare le bizze è un paese come l’Italia che, comunque, ha un cospicuo saldo attivo alla voce export di farmaci nel commercio internazionale. E che, invece di difendere questa posizione, si impunta, come fatto ieri, a bloccare una partita del vaccino AstraZeneca destinata a essere spedita dall’Italia all’Australia. Gioco pericoloso per chi vive e trae guadagni dall’integrazione nella filiera produttiva mondiale.

 

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