Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

L'analisi

Nuovi poveri, vecchi problemi: "Occorrono misure puntuali, non cashback e bonus mobilità"

Francesco Gottardi

Gli ultimi dati Istat fotografano l'aumento della povertà in Italia: "Servono sussidi mirati nel breve periodo e investimenti sulla produttività nel lungo", ci dice Giovanni Pica, economista del lavoro. E sottolinea: "Non c'è un vero trade-off fra Pil e contenimento della pandemia"

Sono ore e settimane di ribaltoni continui. Dalla politica, all’economia, all’emergenza sanitaria: la transizione verso l’Italia che verrà. Nell’incertezza diffusa è dunque arrivato come un pugno – certo, atteso, ma fino a ieri non quantificato – il report dell’Istat che ha registrato 335mila nuove famiglie povere nel solo 2020 e una lunga serie di altre voci sulle condizioni di vita degli italiani, ai minimi termini dai primi anni 2000. Come ri-partire? Così formulato – implicando un percorso virtuoso bruscamente interrotto – il mantra è quasi fuorviante: “È stato un anno impronosticabile, anomalo e drammatico. E questa crisi presenta dei fattori specifici altrettanto anomali, andando a colpire soprattutto la produttività del nord e le persone occupate”, analizza per il Foglio Giovanni Pica, professore di Economia politica presso l’Università della Svizzera italiana e ricercatore specializzato sulle dinamiche di mercato del lavoro. “Ma se la campagna di vaccinazione avrà successo, come tutti ci auguriamo, assisteremo a un rimbalzo economico importante e specularmente eccezionale”, un po’ com’era successo nel terzo trimestre 2020. “Quel che preoccupa davvero è il trend di fondo: l’erosione continua del Pil italiano. Inarrestabile da decenni”.

 

Lo shock della pandemia ha tolto il velo di Maya alle fragilità del sistema, mettendo il paese spalle al muro: “E per questo il nuovo governo Draghi è chiamato a rispondere, laddove l’esecutivo precedente non è stato efficace”. Come intervenire sugli ammortizzatori sociali? “Occorrono misure puntuali, non a pioggia: cashback e bonus mobilità sono soldi buttati al vento e a sostegno della regressività fiscale”, spiega Pica. “Mentre il reddito di cittadinanza, al di là dei problemi che comporta in termini di reinserimento nel mercato del lavoro, richiede quanto meno una rimodulazione capillare. Altrimenti chi lo percepisce non coincide con chi ne ha davvero bisogno”. C’è poi un’enorme falsa credenza da sradicare: “Non c’è tutto questo trade-off fra economia e sanità”, nella gestione della pandemia in corso. “Dopo un anno abbiamo i dati per poterlo affermare: i paesi che hanno saputo contenere meglio il virus, con le contromisure e il tempismo giusto, hanno avuto anche un calo inferiore del Pil. La correlazione esiste, ma è positiva e non negativa”.

 

Ora si tratta di far tesoro dell’esperienza. “Nell’emergenza immediata”, continua il professore, “la politica deve intervenire su due livelli: da un lato a supporto delle famiglie in condizioni di gravi ristrettezze e di chi non ha lavoro, con dei trasferimenti monetari significativi. Dall’altro è fondamentale rinforzare le imprese in crisi, soprattutto quelle con una prospettiva economica competitiva. E l’aiuto potrà essere sia in termini di liquidità che di agevolazioni fiscali”. Diversa invece la strategia di medio-lungo periodo: “L’assistenzialismo non può essere però la formula da cui l’Italia può trovare nuove energie. La chiave è investire sulla produttività, sul lato dell’offerta, mettendo le nostre imprese in condizioni di essere all’avanguardia sul mercato europeo e globale”. Quindi formazione, innovazione, giustizia rapida e sburocratizzazione. Tutti temi ricorrenti nel dibattito nazionale. “E tutte sfide che l’Italia ha perso negli ultimi vent’anni”. Rimettendoci anche in competitività.

 

Se con la globalizzazione il grande gap della disuguaglianza di classe si è riassettato fra nord e sud del mondo, si può affermare che la pandemia ha riscritto nuovamente il concetto di povertà? “Si temeva che anche la grande recessione del 2008 l'avrebbe fatto, scombinando inoltre le leggi del mercato”, dice Pica. “Non è stato così, per quanto nel breve termine la portata globale di questi eventi sia devastante. Il tema è semmai se la pandemia ridisegnerà la geografia delle città”. Rivoluzione smart: “Le abitudini di lavoro stanno evolvendo in senso centrifugo: queste implicano dove le persone scelgono di vivere e le imprese di investire. In questo senso la nostra società potrebbe presto riposizionarsi su nuove dimensioni. Noi dovremo essere reattivi e adattarci al cambiamento, sotto ogni aspetto”. È un principio base della sopravvivenza. L’Italia, fin qui, ha scherzato col fuoco della consuetudine.

 

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