Il premier Mario Draghi (Ansa)

Il nuovo decreto

Dai decreti Ristori al Sostegno. E non è solo una questione semantica

Mariarosaria Marchesano

Non più fondi a pioggia, ora la coperta è corta. La nuova denominazione riflette il cambio di logica che il governo Draghi intende imprimere nella distribuzione degli aiuti economici: equi, mirati e con tempi certi

Da ristori a sostegni e non è solo una questione semantica. Cambia nome l’atteso quinto decreto Ristori che si chiamerà decreto Sostegno, come ha anticipato nei giorni scorsi il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, spiegando che “andrà a intervenire in maniera più equa e mirata con tempi più certi”. La nuova denominazione riflette il cambio di logica che il governo Draghi intende imprimere nella distribuzione degli aiuti economici anti Covid introducendo una maggiore selettività dei soggetti beneficiari. L’esecutivo di Giuseppe Conte, avendo affrontato una grave emergenza, ha distribuito fondi statali a pioggia durante tutto il 2020, anche se come risulta da un’analisi svolta dal think thank Bruegel sulla risposta fiscale dei singoli stati europei alla pandemia, lo ha fatto in misura inferiore rispetto ad altri paesi.

 

Le “misure a impulso fiscale immediato” predisposte dall’Italia a partire dallo scorso marzo – cioè gli interventi diretti a favore di imprese e lavoratori, le spese sanitarie e il potenziamento di servizi pubblici - sono stati complessivamente pari a circa 90 miliardi contro 284 miliardi spesi dalla Germania, 124 miliardi stanziati dalla Francia, 201 dal Regno Unito. Solo la Spagna ha speso meno: 46 miliardi (queste cifre non sono, però, tutte aggiornate a fine 2020 e ci potrebbe essere qualche variazione nei saldi finali). Ma adesso la coperta è corta, anzi cortissima. Basti pensare che i 32 miliardi di scostamento di bilancio votato dal Parlamento sono poco più di quanto il precedente esecutivo ha erogato a fondo perduto alle sole imprese (29 miliardi) durante lo scorso anno. Una cifra che, come sottolinea il centro studi della Cgia di Mestre, ha coperto appena il 7 per cento della perdita di fatturato subìta dal mondo produttivo (380 miliardi) mentre per tutto il resto si è fatto affidamento sul Fondo centrale di garanzia, che, però, ha erogato prestiti e non aiuti diretti.

 

“La situazione è molto cambiata rispetto alla primavera scorsa - dice al Foglio Paolo Zabeo del centro studi della Cgia di Mestre - Oggi solo alcuni settori sono ancora soggetti a restrizioni e per questi non sono più sufficienti semplici ristori, ma è necessario uno stanziamento che compensi i mancati incassi e le spese correnti che continuano a sostenere”. E’ qui che potrebbe esserci un cambio di passo? La possibilità di rimborsare i costi fissi alle imprese - prevista dall’ultima versione del Temporary Framework della Commissione europea - è stata, per esempio, colta al volo dal governo Macron per placare le proteste degli operatori economici francesi che adesso possono ottenere risarcimenti fino al 70 per cento. Tale misura in Italia non è stata finora utilizzata e il motivo non è difficile da capire. Il margine fiscale per i contributi diretti – che poi sono quelli che vanno a peggiorare i saldi pubblici di bilancio - è sempre più sottile ed è per questo che a Palazzo Chigi si sta discutendo di una possibile selezione delle aziende da sostenere mentre si pensa di proteggere famiglie e lavoratori in modo indistinto.

 

 

“Nel caso del settore turistico, che è stato il più colpito dalla pandemia con una perdita di 75 miliardi di fatturato, il criterio della selettività mi convince poco – riflette Antonio Barreca, direttore generale di Federturismo, associazione aderente a Confindustria – Il meccanismo di erogazione degli aiuti lo scorso anno è stato come una lotteria, alcune categorie li hanno ricevuti e altre hanno dovuto attendere tempi lunghissimi o non li hanno ricevuti affatto. Io dico che la filiera turistica dovrebbe essere sostenuta in senso ampio perché, come ha ricordato lo stesso Draghi, rappresenta la prima industria del paese con il 14 per cento del pil. In seguito, sarà il mercato a fare ad applicare una selezione facendo andare avanti le imprese più meritevoli. Spero che il ministro del Turismo ci sostenga in questa direzione”. Proprio per gli scarsi margini di manovra fiscale, la particolarità dell’Italia rispetto agli altri paesi europei è stata di fare ampio utilizzo del Fondo centrale di garanzia che ha erogato fino ad oggi 143 miliardi di prestiti (garantiti in varia misura dallo stato) attraverso il canale bancario (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono le principali regioni beneficiarie).

 

Una scelta che - come fa notare Gaetano Stio, amministratore delegato del gruppo di consulenza creditizia Nsa - dopo il complicato rodaggio iniziale adesso funziona e sarebbe importante se la sua funzione antipandemica fosse prorogata oltre  la scadenza di giugno. Un aspetto interessante è che su 142 miliardi di prestiti 24 sono sotto i 30 mila euro e pertanto garantiti al 100 per cento dallo stato. “Noi stimiamo un tasso di default del 15-20 per cento – dice Stio – questo significa che per almeno 4-6 miliardi saranno escusse le garanzie dello stato”. In pratica, è come se ci fossero stati degli aiuti diretti mascherati il cui costo andrà a cadere sui bilanci pubblici futuri.