Ilva sospesa. Il Consiglio di stato rimanda la decisione sull'area a caldo

Annarita Digiorgio

Nessuna sospensiva immediata, come richiesto da ArceloMittal. Resta in piedi la sentenza che dispone la chiusura degli impianti, l'udienza per la trattazione nel merito sarà il 13 maggio 

Non è una richiesta di spegnimento degli impianti quella del Consiglio di stato sul ricorso Ilva. Il decreto odierno ha solo deciso di non procedere monocraticamente e rimandare all’11 marzo in sede collegiale in Camera di consiglio la decisione sulla sospensiva, mentre ha fissato la trattazione nel merito al 13 maggio. In particolare, il presidente della IV sezione ha chiarito che “allo stato non sussistono ragioni di estrema urgenza di adottare misure cautelari atteso che, prima della data dell’11 marzo, non sussiste l’obbligo di avviare le operazioni di fermata dell’area a caldo e degli impianti connessi”. Per quella data, accanto ad ArcelorMittal, presenteranno appello contro la decisione del Tar anche i commissari di Ilva in amministrazione straordinaria (nominati da Luigi Di Maio quando era al Mise) e Domenico Arcuri per Invitalia

 

L’ennesima querelle giudiziaria intorno ad Ilva questa volta riguarda una ordinanza del sindaco di Taranto che, appellandosi all’articolo 50 del Tuel, nel febbraio 2020 ha ritenuto di ordinare genericamente ad Ilva, a seguito di un evento emissivo odorigeno, lo spegnimento degli impianti inquinanti. Impianti che sono ancora sotto sequestro della magistratura, che restano accesi solo grazie alla facoltà d’uso concessa in forza di decreti legge (approvati dalla Corte), che fanno di Ilva un’impianto strategico di interesse nazionale che tutto avevano “scudato” fuorchè le ordinanze sindacali contingibili e urgenti. 

 

Contingenza e urgenza, quella dell'ordinanza oggetto della querelle, che, fosse stata reale, avrebbe dopo un anno provocato la morte di tutti i tarantini. Invece Ispra, l’autorità del ministero dell’Ambiente delegata al controllo ambientale, che tra l’altro, come previsto da uno dei famosi 12 decreti di Matteo Renzi, ogni tre mesi ispeziona Ilva e relaziona sull’avanzamento dei lavori ambientali e sul rispetto delle norme, da anni certifica il rispetto di tutti i limiti emissivi, che pongono Taranto in fondo a ogni classifica tra le città più inquinate. 

 

Nell'appello promosso si sostiene che il Tar di Lecce ha "omesso di considerare che nel corso dell'istruttoria Ispra e ministero hanno confermato l'insussistenza di pericoli con riferimento agli eventi emissivi indicati dall'ordinanza (sia riferiti alle emissioni del camino E312 sia a quelle odorigene) e che non ha tenuto conto della circostanza che gli eventi anomali odorigeni non erano imputabili ad ArcelorMittal e che Ispra conferma che, sulla base degli elementi istruttori disponibili, non è possibile ricondurre gli eventi odorigeni a ArcelorMittal Italia". Cosa che a Taranto sanno tutti, basta farsi un giro in area industriale per sentire, a naso, da dove vengono le emissioni odorigene. 

 

Tutti, tranne il sindaco, evidentemente. Che per una ordinanza sbagliata rischia di lasciare senza lavoro 10 mila tarantini. “Vi prendo tutti io in Comune a fare i socialmente utili”, ha detto due giorni fa ai cassintegrati. Infatti, appena pubblicata la sentenza del Tar, mentre Michele Emiliano ha dichiarato di aver scritto a tutti i neo ministri chiedendo di non azzardarsi a fare ricorso “all’orpello del Consiglio di Stato”, il sindaco ha detto di non essere interessato alla vicenda giudiziaria, ma di volersi sedere al tavolo. Entro fine mese devono infatti essere nominati i sei membri del cda della nuova società Ilva-ArcelorMittal, di cui tre indicati dallo stato. 

Nel frattempo Giancarlo Giorgetti, appena insediato al Mise, ha già tenuto un incontro su Ilva con i sindacati. Un appuntamento intelocutorio senza la presenza nè di ArcelorMittal nè di Invitalia. Più che altro una spinta del colonnello della Lega volta a intestarsi il dossier.  Non è scontato infatti che il fascicolo restasse al Mise: dal 2012 era stato prima in mano al ministero dell’Ambiente, prima con Corrado Clini che salvò lo stabilimento dalla chiusura e poi con Andrea Orlando che estromise i Riva; con l’arrivo di Matteo Renzi passò direttamente alla presidenza del Consiglio con una forte presenza della commissione industria al Senato, allora guidata da Massimo Mucchetti; con Carlo Calenda si trasferì al Mise passando per Di Maio, e finendo al Mef con Gualtieri. 

 

Con l’apertura del governo Draghi si sospettava che il tavolo Ilva arrivasse in mano al ministro della Transizione. Da qui l’accelerata di Giorgetti. Con Andrea Orlando che marca stretto e che oggi si è presentato al primo incontro, conoscendo il dossier sia da ex ministro dell’Ambiente che della Giustizia, ma soprattutto da ligure. Se l’11 marzo il ricorso al Consiglio di stato non dovesse andare bene, è già pronto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli. Tarantino e grande conoscitore delle vicende Ilva, sia sotto il profilo economico sia giuridico, di cui tra i diversi uffici si occupa dal 2012. 

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