Milano, operai sospesi nel vuoto per ultimare la scritta Generali sulla cima della Torre Hadid a Citylife (LaPresse)

Prove generali di rivoluzioni

Perché l'asse tra Mustier e Del Vecchio cambierà i colori di tutta la finanza

Stefano Cingolani

Del Vecchio che sale in Mediobanca, la sponda con Unicredit, le altre triangolazioni e la ricerca di un nuovo patto italo-francese. Come si schierano i giornali

Roma. Tricolore contro tricolore, quello italiano contro quello francese: la destra sovranista ampiamente rappresentata nel Copasir, il Comitato parlamentare sui servizi segreti, ha già issato la bandiera di fronte alla scalata di Leonardo Del Vecchio a Mediobanca e, di qui, alle Assicurazioni Generali. L’operazione ha riaperto vecchie ferite e antiche paranoie, anche perché tra il re degli occhiali e il Leone di Trieste ci sarebbe un convitato di pietra transalpino: Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit. La partita è ingarbugliata, del resto dura da molto tempo.

  

Tre anni fa è fallita l’offerta della Intesa Sanpaolo sulle Generali alla quale si era opposta Mediobanca, azionista numero uno della compagnia di assicurazioni, appoggiata da Unicredit allora primo socio della banca di piazzetta Cuccia. Nello scorso autunno Unicredit ha lasciato Mediobanca e Vincent Bolloré ha ridimensionato al 6 per cento la sua quota, si è aperto uno spazio riempito da Del Vecchio che ha rivelato di essere il primo azionista con il 9,89 per cento. Adesso vuole salire al 20 per cento e ha chiesto il permesso alla Bce pensando di avere le carte per ottenerlo. Mai dalla sua fondazione nel 1946 la banca di Enrico Cuccia aveva avuto un “patron” tanto dominante, nemmeno quando Gianni Agnelli regnava sul capitalismo italiano; l’amministratore delegato Alberto Nagel non l’ha presa bene.

  

La notizia è uscita in prima pagina domenica sulla Repubblica che ieri registrava “il gelo di piazzetta Cuccia” contro “l’operazione anti mercato”. Se ci sarà il via libera, tutti gli equilibri salteranno. Che cosa farà Ennio Doris che detiene il 3,28 per cento e aveva annunciato la sua uscita nel caso in cui Del Vecchio diventasse predominante (da Mediolanum per ora nessun commento)? E la Fininvest di Silvio Berlusconi con il 2 per cento? Bolloré oggi se ne sta acquattato leccandosi le ferite inferte dalle sue infelici campagne d’Italia, si rimetterà in gioco o lascerà il campo? Diventare azionista di riferimento a piazzetta Cuccia significa determinare anche gli equilibri nelle Generali (Mediobanca con il suo 12,86 per cento ha sempre designato i vertici) delle quali Del Vecchio detiene il 4,84 per cento. Gli altri soci singoli sono Caltagirone, al primo posto con il 5,11 per cento, che avanza con passo felpato, Benetton con il 3,99 per cento anche se per il momento ha troppi guai così come il gruppo De Agostini sceso all’1,5 per cento, poi ci sono soci bancari importanti come la Crt, Cassa di risparmio di Torino all’1,3 per cento.

 

Di fatto esiste un nocciolo stabile italiano all’interno del quale Del Vecchio, spalleggiato da Caltagirone, fa da battistrada. Non che si possa lamentare dei risultati: da quando a fine 2016 ha preso le redini della compagnia Philippe Donnet, gli azionisti hanno avuto un ritorno dell’88 per cento. Le cose non sono andate affatto male nemmeno con Mediobanca che ha assicurato lauti dividendi. Del Vecchio ha approfittato della pandemia che ha tagliato a metà il valore del titolo in Borsa (da 10 a 5,8 euro per azione): prendi due paghi uno, insomma.

   

Oltre a guadagnare, che cosa ha in mente l’imprenditore più ricco d’Italia con un patrimonio di circa 20 miliardi di euro? Potrebbe accontentarsi di diventare presidente di Mediobanca, estendendo la sua influenza sulle Generali i cui profitti contribuiscono per un terzo agli utili della banca d’affari. Ma le sue ambizioni sono maggiori. E qui le scuole di pensiero si dividono. La prima pensa che, maritata Luxottica alla francese Essilor, Del Vecchio si senta le mani libere per diventare, a 85 anni suonati, il king maker di piazza Affari, con propaggini che arrivano fino alla sanità oggi strategica più che mai (proprio sul controllo dello Istituto europeo di oncologia Del Vecchio ha incrociato i ferri con Mediobanca). Vuole lasciare, insomma, un segno più profondo che non la sua azienda di montature per gli occhiali.

 

“La forza virile dell’imprenditore”, come diceva Bruno Visentini, entra in quelle che chiamava “aziende di nessuno”, cioè le public company. Se è così, avremo un capitalista che investe soldi propri per rafforzare il nocciolo duro della finanza italiana. Una seconda scuola di pensiero, invece, sostiene che Del Vecchio intenda riproporre in forme diverse lo schema Essilux, creando un conglomerato in questo caso italo-francese e non franco-italiano. Qui entra in scena Mustier.

 

Unicredit è la banca alla quale si appoggia Del Vecchio non solo in Italia, ma anche in Lussemburgo dove sono domiciliate le tre società che custodiscono le partecipazioni in Mediobanca, cioè la Delfin, cassaforte di famiglia, Aterno e Dfr Investment. A esse la Unicredit ha ceduto la propria quota in piazzetta Cuccia e ha aperto linee di credito, secondo quanto ha verificato l’agenzia Adnkronos. Nulla di illecito, nessun complotto, tutto regolare, ma tant’è. La banca erede del Credito italiano che nel 2007, guidata da Alessandro Profumo, si è fusa con Capitalia estendendo la sua presenza in Germania (con la Hypovereinsbank) in Austria e nell’Europa centro-orientale, ha cambiato pelle e strategia con la gestione Mustier cominciata quattro anni fa. Ha aumentato il capitale per 13 miliardi di euro, ha ceduto 17 miliardi di crediti marci, ha venduto i fondi Pioneer e la Fineco, ha ridotto i crediti italiani, ha chiuso sportelli e filiali con una determinazione maggiore di altre concorrenti. Mustier ha intenzione di dividere il suo business in una holding a forte vocazione internazionale che controlla le partecipate nazionali; quella italiana sarebbe una fra tante anche se la più grande almeno per ora. E’ la premessa per cercare un’alleanza europea che sembrava a portata di mano con la Société Générale dove Mustier si è fatto le ossa. Questa strategia può essere perseguita cambiando spalla al fucile? Unicredit è fuori sia da Mediobanca sia da Generali, ma Del Vecchio potrebbe essere l’uomo della svolta. Strategie, piani, retroscena. Il gioco è pericoloso e incerto così come resta aperta la partita che Carlo Messina, il numero uno di Intesa Sanpaolo, gioca con l’offerta per Ubi banca. Un’operazione che ha avvicinato Mediobanca, scelta come advisor da Intesa, ma contro la quale è schierata Unicredit.

 

E le Generali? A Trieste si mostrano tranquilli, sanno di essere l’oggetto del desiderio, obiettivo di tutte le mire. Gli analisti sono scettici su ipotesi come la fusione con Axa. Il capo azienda Philippe Donnet, francese, che ha costruito la sua carriera proprio dentro Axa, ha sempre smentito ogni accordo, anche se si dice pronto ad acquisizioni mirate, avendo a disposizione circa 3 miliardi di euro. La sua gestione è stata efficace, tuttavia le Generali sono al quinto posto nella classifica europea per capitalizzazione, e Axa vale circa il doppio. Bisogna capire meglio che cosa ha in mente Del Vecchio e chi lo consiglia, a cominciare da Vittorio Grilli, ex ministro dell’Economia e direttore generale del Tesoro, che oggi guida le operazioni europee di JP Morgan. Se l’obiettivo finale è un riallineamento degli equilibri nell’alta finanza, siamo solo all’inizio. Non va trascurato nemmeno l’aspetto mediatico. La Repubblica sembra pendere per Mediobanca. Il Corriere della Sera, cauto, per Del Vecchio che ha buoni rapporti con l’editore Urbano Cairo anche attraverso lo stesso avvocato d’affari, Sergio Erede. Prudentissimo finora il Messaggero di Caltagirone. Ma non tutte le carte sono ancora sul tavolo.