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Nel matrimonio tra Fca-Psa c'è un terzo incomodo: il salvataggio di Renault

Ugo Bertone

Il governo francese pronto a salvare l'azienda. Ma il pomo della discordia è l’occupazione. In cambio dei capitali di Stato il gruppo non prenderà impegni sul fronte del mantenimento dell’occupazione

John Elkann tira dritto per la sua strada. “I lavori per il progetto di fusione 50/50 tra Fca e Psa – spiega in occasione dell’assemblea Exor si Amsterdam – stanno proseguendo secondo i piani e nei tempi previsti. La ragione strategica di questa combinazione delle due società e dei loro dipendenti è più forte che mai”. Senz’altro più forte delle polemiche che si sono accese nel Bel Paese sul dividendo straordinario che sarà versato ai soci di Fiat Chrysler prima della fusione con Peugeot. Nessun passo indietro né tantomeno alcuna revisione dei programmi, come temuto dalla Borsa che in mattinata aveva picchiato duro sul titolo Fca fino ad una perdita del 4 per cento abbondante poi recuperata per più di metà.

 

Non si parla proprio di sospendere il dividendo straordinario per tutta la durata del prestito garantito dallo Stato. Né si pensa a ridurre la cedola straordinaria a soli 2,4 miliardi di euro (contro gli attuali 5,6 miliardi) per venire incontro alle critiche in arrivo dalla politica, ipotesi “ragionevole” a detta di Marco Opipari di Fidentiis, uno degli analisti italiani più seguiti del mondo a quattro ruote. Per far tornare i conti della fusione alla pari, in quel caso, basterebbe che i Peugeot rinunciassero allo spin-off di Faurecia, la società della componentistica messa in vendita per mantenere la proporzione 50/50 tra i soci francesi e quelli del gruppo italo/americano. Ma non sta certo in questi aspetti tecnici, sillaba il leader di casa Agnelli, “la ragione strategica di questa combinazione delle due società e dei loro dipendenti che è più forte che mai”.

 

Non è il momento di cambiar le carte in tavola e lasciar così spazio ad eventuali tentazioni in casa Peugeot, soprattutto dopo l’infelice esito della trattativa di vendita di Partner Re a Covéa. E per quanto riguarda le contestazioni politiche, il numero uno del gruppo che pure potrebbe prendere in prestito le parole di Bruno Le Maire, il ministro francese dell’economia che, nell’ambito di un piano generale dell’auto, si accinge ad affrontare il dossier più spinoso: il salvataggio di Renault, il terzo del dopoguerra. “Se invece di agire cominciamo a discutere di qui ad un paio d’anni non resterà neanche la materia su cui dividerci” ha dichiarato su Les Echos, il quotidiano economico transalpino a proposito di una vicenda che promette di pesare, tra non molto, anche sulla liaison tra Psa e Fca.

 

Non tanto per le cifre in ballo: anche Renault è in attesa di incassare cinque miliardi tondi dallo Stato, in questo caso azionista a tutti gli effetti. Anche qui, come del resto accade nella Fiat Chrysler italiana, la società si impegna a non staccare cedole (comunque destinate a tornare in parte allo Stato azionista). Ma il pomo della discordia è l’occupazione. In cambio dei capitali di Stato, l’azienda, ribaltando la storia delle relazioni industriali in terra di Francia, non prenderà impegni sul fronte del mantenimento dell’occupazione. A mezza bocca il premier Edouard Philippe si è limitato a promettere che lo Stato non permetterà la chiusura di fabbriche in Francia. Ma sono almeno quattro i siti a rischio, secondo voci sempre più insistenti: dalle fonderie bretone di Caudan ai siti di Dieppe e di  Choisy, ma già si parla dello stop di Flins, 2,600 tute blu, una delle bandiere della Francia operaia.

 

Si possono prendere soldi pubblici e cancellare posti di lavoro? Difficile dirlo ma quando il mercato deve fronteggiare una caduta della domanda del 30-40 per cento senza lasciar sperare in una ripresa a “V”, la prima preoccupazione dev’essere di salvaguardare la filiera del settore. Senza agitare il machete di Boris Johnson (9 mila tagli annunciati in Rolls Royce, il fiore dell’industria aeronautica british) ma concentrando gli sforzi su auto elettriche o comunque innovative, senza dirottare i quattrini verso i modelli più “poveri” che servono a far volumi e fatturato. Certo, la rottamazione o altri incentivi nel breve possono servire ma contro questa soluzione si è pubblicamente pronunciato Jean-Philippe Imparato: “Aiuti ed incentivi sono una droga che prima o poi si paga”. Per la cronaca, monsieur Imparato è il braccio destro di Carlos Tavares che l’anno prossimo si insedierà in Fiat Chrysler.       

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