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Lavorare in un call center al tempo del coronavirus

Giuseppe Fantasia

All'Aquila si continua a lavorare nonostante un caso sospetto. Mancano le mascherine, i guanti sono pochi e di 500 lavoratori solo 180 possono accedere allo smart working. La storia di Sandra

L’Aquila. Sandra, la chiameremo così, ha poco più di trent’anni ed è una delle tante persone che ha deciso di restare a L'Aquila che, in questi giorni difficili per tutti, è tornata ad avere una “zona rossa” come nel terremoto del 2009. Da diverse mattine apre gli occhi ben prima della sveglia e di sua figlia che ha un anno e mezzo, perché pervasa da un senso misto di angoscia e responsabilità. Da un lato c’è il contagio che la spaventa, dall’altro è molto forte in lei il senso del dovere di recarsi al call center Comdata Group che gestisce la commessa dell’INPS-Ader per cui lavora.

 

I decreti del presidente del Consiglio dei ministri hanno lasciato aperti i call center per gestire informazioni indicando misure di protezione. Il suo è uno di quelli. È poco fuori dal centro cittadino e vi lavorano 500 persone a turni di sei, quattro o otto ore al giorno. Il 12 marzo, il giorno prima che gli italiani si affacciassero alle finestre dando inizio ai flashmob musicali tra un inno, un “Azzurro” e un cielo sempre più blu, l’azienda l’ha fatta andare comunque a lavoro, ma invece che fornirle mascherine e guanti, le ha fatto trovare un “premio” speciale alla sua postazione: un Ferrero Rocher, un bigliettino con un arcobaleno e l’immancabile hashtag #andràtuttobene con la chiusa “Ma soprattutto, grazie di cuore per essere qui con tutti noi”.

 

Non avendo ricevuta nessuna proposta di smart working, ha continuato a lavorare con i suoi colleghi e così ha fatto fino al venerdì, perché dopo che la Asl ha dato l’allarme per un caso sospetto tra i lavoratori, il sito è stato chiuso per tutto il weekend per la sanificazione. Dopo la lettera indirizzata dalle Segreterie territoriali della Cgil-Slc e Uilcom alla Asl dell’Aquila e al Dipartimento per la salute della Regione Abruzzo in cui venivano richieste informazioni ufficiali e certificate sul caso verificatosi, il 15 marzo è arrivata una comunicazione interna firmata dal direttore delle Risorse Umane di Comdata Group Enrico Martino.

 

In essa viene riportato il protocollo di disciplina siglato il giorno prima tra il governo, le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali con le regole che i lavoratori del call center devono rispettare durante questa emergenza. Misure stringenti e di prevenzioni, regole, appunto – tra cui il posizionamento “a scacchiera” – ma lo smart working, si legge, è previsto dal 9 marzo scorso per “il personale impegnato in funzioni di staff e ai lavoratori impegnati nella delivery dei nostri servizi, con l’obiettivo di raggiungere il numero massimo possibile nei tempi più brevi possibili”.

 

La sede è stata comunque riaperta ieri tra non poche polemiche dei preoccupati lavoratori aquilani, appoggiati, oltre che da Cgil, Cisl e Uilcom, anche dalla Cisal Comunicazione, il cui segretario, Venanzio Cretarola, ha parlato con l’azienda, sentendosi dire che la situazione del soggetto interessato al Covid-19 “è stazionaria” e che il tampone “non è stato fatto”. “La sanificazione, ci spiega il segretario, viene fatta ogni settimana mentre giornalmente c’è la pulizia e la detersione dei luoghi di lavoro”. Inoltre al momento l’azienda “non ha ancora disponibilità di mascherine e i pochi guanti che ci sono sono solo di taglie piccole”. “Di 500 lavoratori per lo smart working - continua - sono solo 130 le persone che ne hanno i requisiti sulla base di test ulteriori, dalla connettività all’agilità del pc,  e nel sito aquilano si possono remotizzare al massimo 180 persone”. Il Foglio ha avuto conferma da Comdata che lo smart working per 180 persone ci sarà proprio da mercoledì 18 marzo. Nel frattempo, però, in piena emergenza, gli operatori del call center continueranno a stare lì e a lavorare. Anche Sandra, in prima linea come tutti, una di questi 500 “eroi”, degli angeli senza ali che non sempre hanno solo i camici. Alcuni hanno una divisa. Loro, le cuffie in testa.

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