Piazza Duomo a Trento

Per far funzionare la previdenza complementare c'è un modello: il Trentino-Alto Adige

Maria C. Cipolla

Con Pensplan il pubblico si occupa di promozione ed educazione finanziaria. Così l’adesione ai fondi è al 50%, contro il 29% della media nazionale

Milano. Con un suggerimento non richiesto, ma evidentemente necessario, Tito Boeri ha consigliato al suo successore ai vertici dell’Inps, Pasquale Tridico, di non creare un fondo integrativo di previdenza. L’Inps, ha spiegato, “non è in grado di gestire patrimoni, non è il suo mestiere: si limita a raccogliere contributi e a destinarli al pagamento delle pensioni. Per farlo, dovrebbe rivolgersi ad una società esterna. L’esperienza dovrebbe insegnare qualcosa”.

 

 

L’esperienza a cui fa riferimento Boeri, e di cui Tridico che ha lanciato l’idea del fondo pubblico a luglio 2019 evidentemente o non sa o fa finta di non sapere nulla, è quella fallimentare di FondInps: 75 milioni di euro investiti in titoli di stato e perdite per 2,5 milioni di euro nel 2018. Non a caso Boeri ha messo in guardia dall’usare i soldi destinati alla previdenza per “ridurre il deficit pubblico” o addirittura “condizionare la governance delle imprese” (Tridico ha parlato anche di usare il fondo come stimolo agli investimenti). E la Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, ha chiesto ufficialmente di chiuderlo.

 

 

Eppure, se servisse una controprova ulteriore che per l’interesse della collettività FondInps è il modello da non abbracciare, se insomma ci fosse bisogno di un’altra esperienza che insegni qualcosa, basterebbe andare in Trentino-Alto Adige, dove la percentuale di cittadini che aderisce alla previdenza complementare è quasi doppia rispetto alla media italiana grazie a un modello promosso dalla regione che va in direzione contraria a quello fallito a livello nazionale. Il modello trentino nasce con una legge regionale del 1997 e un’intuizione: l’idea di utilizzare un tesoretto per creare una società partecipata che si occupi di promuovere la previdenza integrativa.

 

“I dati dicono che investire il Tfr nella pensione complementare è la scelta più vantaggiosa per i cittadini, ma per traghettarli ai fondi privati serve un traghetto pubblico”, spiega Gianfranco Cerea, professore di Economia pubblica e Scienza delle finanze all’Università di Trento che del sistema trentino è stato ideatore. Il traghetto è la Pensplan Centrum Spa, società partecipata al 98 per cento dalla regione e per il 2 per cento dalle due province di Bolzano e Trento. Nata da una dote di capitale pubblico di 258 milioni di euro, dalla sua fondazione non ha mai avuto bisogno di nuove iniezioni di liquidità.

 

Il principio su cui si fonda il sistema è piuttosto semplice: se FondInps ha affidato la gestione della previdenza dei cittadini a Unipol pagando costi di gestione doppi, cioè, stando al bilancio 2018, registrando sia spese proprie che pagando per la gestione la compagnia assicurativa, Pensplan fa l’opposto: si fa carico di tutte le spese amministrative azzerando i costi di gestione dei fondi privati, ma chiede in cambio di calmierare i costi per il cittadino che a loro affida i propri risparmi. Un comitato ad hoc della regione prevede quali sono i servizi che i fondi convenzionati devono offrire gratuitamente e quali possono essere a pagamento: oggi sono quattro quelli convenzionati, uno negoziale, Laborfonds, che raccoglie i lavoratori dipendenti, e che ha a sua volta quattro portafogli differenziati per rischio di cui tre affidati alla più grande società di investimento globale, cioè Blackrock. Gli altri tre sono fondi aperti, uno di Cassa centrale Reiffeisen, uno gestito da Itas Vita e l’ultimo, Pensplan Profi, che in collaborazione con Banca etica si occupa di investimenti sostenibili come l’housing sociale.

 

Pensplan offre gratuitamente informazione, consulenza e formazione per i cittadini, per le aziende e per il personale dei Caf (sono circa 50 punti di informazione sparsi per la regione) con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione sulla cultura previdenziale. Dall’altra parte guadagna offrendo servizi amministrativi ai fondi di gestione. “La società della regione ha il compito di dare le informazioni corrette, di mettermi in condizione di scegliere, e lo fa”, fa notare Cerea, “perché se poi le cose vanno male, con chi se la prenderanno le persone?”.

 

In generale, spiega Cerea, non essendoci divisione per categoria lavorativa, il capitale è più stabile, perché non subisce le uscite dei lavoratori che passano da un comparto all’altro, né di quelli che rimangono disoccupati. In caso di perdita del lavoro, infatti, a integrare i profili contributivi interviene direttamente la regione. La ratio è sempre la stessa: favorire la stabilità complessiva dell’investimento nell’interesse della collettività. Tanto che le somme accantonate vengono anche considerate una garanzia per ottenere il mutuo per la casa. Il risultato è che su una popolazione attiva di 400 mila persone, un lavoratore su due ha aderito ai fondi contro il 29 per cento della media nazionale.

 

Oltre alla stabilità su base territoriale, l’altro principio è “evitare il rapporto incestuoso con la politica”: il consiglio di amministrazione di Pensplan ha profilo tecnico, i quattro fondi sono indipendenti, devono rendicontare il raggiungimento degli obiettivi previsti dal contratto e a loro volta si affidano a gestori che devono consegnare una relazione ogni mese. La regione considera il bilancio talmente positivo che le iscrizioni ai fondi pensionistici sono state aperte anche ai famigliari mentre la regione sta pensando di usare Pensplan per fare educazione finanziaria a tutto campo e replicare il modello per finanziare gli interventi per le persone non autosufficienti. “I frutti piantati negli Anni Duemila, si raccoglieranno nel 2030”, osserva Cerea. E quando gli si chiede che frutti saranno dice semplicemente “una regione con meno poveri, che avranno bisogno di meno aiuti e che potranno pagare di più per la sanità e la cura necessaria quando la popolazione invecchierà”.

 

Mentre a Roma c’è chi pensa di usare i soldi dei cittadini per mettere una toppa ai debiti e alle promesse fatte dallo stato in passato, a Trento c’è chi li indirizza a prevenire le emergenze future. La differenza sta tutta qui: è quella tra cattiva e buona amministrazione.

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