Lo skyline di Abu Dhabi (foto Pixabay)

I paesi del Golfo, cultura e religione

Mario Sechi

L’occidente deve costruire ponti per proiettarsi nel futuro

[Pubblichiamo l'editoriale del numero 42 del trimestrale We-World Energy magazine dal 16 aprile in allegato gratuito con il Foglio. Chiedilo al tuo edicolante]


 

Democrazie, regni, sultanati, petromonarchie. Ci sono parole, categorie politiche e molte buone ragioni per parlare dei paesi del Golfo, ce ne sono altrettante per provare a farlo tenendo il quadro e la cornice appesi sulla parete antica e moderna dei sistemi di governo. L’occidente attraversa un momento di seria difficoltà sul piano del funzionamento delle sue istituzioni, la guida americana è entrata in uno dei suoi classici periodi di pendolarismo verso l’isolazionismo, in realtà più desiderato che praticato (una potenza globale non può sottrarsi al suo destino) ma in ogni caso sufficiente a curvare in maniera diversa lo spazio e il movimento di tutti gli altri attori. L’Unione europea attende una svolta, il suo congegno si è inceppato, la Brexit è stata il gong di un’altra era. E non ci sono mappe dettagliate per capire quale sarà davvero l’approdo futuro. L’oriente è in una fase di espansione e probabilmente maturazione della crescita, mentre i suoi sistemi di governo, che sono i più vari (pensate all’antitesi tra il partito unico della Cina e il multipartitismo del Giappone), a loro volta ne dipingono il destino e imprimono la rotta nell’area del Pacifico. Il medio oriente è entrato in un altro capitolo del suo romanzo, è uno spazio materiale e ideale più largo di quello del Golfo, ma il racconto di questa dimensione ha come fulcro quest’area geopolitica. L’uomo occidentale, pensando a se stesso come il centro di tutto, spesso sbaglia nel leggere i fatti e soprattutto nell’interpretare la direzione di marcia di questi paesi che sì, sono dominati dal tema dell’uso e trasformazione delle risorse energetiche, ma hanno basi culturali che vengono prima del conteggio delle gasiere e degli oleodotti. Nel Golfo rullano i tamburi delle truppe della trasformazione politica, scalpita la cavalleria dell’economia, delle relazioni tra potenze e delle scomposizioni e ricomposizioni dell’ordine mondiale.

 

Un gioco politico multipolare

Questi paesi, dopo la caduta del Muro di Berlino e del Patto di Jalta, hanno scoperto un gioco geopolitico multipolare, chiaro e scuro, brillante e opaco, mentre sperimentavano nuove vie della diplomazia, e hanno accresciuto capacità e potenza del loro hardware e software. Dipendono dal petrolio e dal gas, questo legame è e sarà inscindibile finché queste saranno le fonti di energia dominanti, ma la loro evoluzione parla chiaro, questa dipendenza andrà via via attenuandosi, in alcuni casi è già inferiore rispetto ad altri fattori della produzione. Interpretare questo scenario con le sole chiavi dell’economia, inoltre, non aiuta affatto a capire pienamente cosa sta accadendo nel Golfo; il meccanicismo degli economisti spesso porta a deviazioni fatali della comprensione per sottovalutazione dei processi storici. Abbiamo visto paesi ricchi d’occidente entrare in una stagione di tensione politica, cosa che contrasta con l’equazione benessere uguale stabilità. Non esistono formule perfette per definire il corso della storia dell’umanità, si naviga a vista e qualche volta senza luna, poche stelle e tra i banchi di nebbia.

 

 

 

Il tema culturale e religioso qui è il pilastro su cui si regge tutto, viene ben prima dei giacimenti di petrolio, delle piattaforme, delle esplorazioni, delle strategie dei governi e delle compagnie energetiche. L’Islam pulsa nelle tende del deserto, nelle città brillanti, nel mare, nei porti, nei centri religiosi, nei palazzi di Stato. Il Profeta e il Corano sono la guida, e il fenomeno della secolarizzazione, che ha cambiato (forse sarebbe meglio scrivere “sconvolto”) il cuore dell’Europa, qui ha un tratto completamente diverso, non si possono fare comparazioni ed è una fatica di Sisifo mettersi a predicare in cattedra lo sviluppo di condizioni “occidentali” dove la storia millenaria ha scolpito un altro racconto.

 

Milan Kundera nel suo libro “L’arte del romanzo” descrive questo processo di perdita dell’orientamento dell’uomo europeo prendendo il capolavoro di Cervantes, Don Chisciotte, e dandogli un’interpretazione fulminante: “Mentre Dio andava lentamente abbandonando il posto da cui aveva diretto l’universo e il suo ordine di valori, separato il bene dal male e dato un senso a ogni cosa, Don Chisciotte uscì di casa e non fu più in grado di riconoscere il mondo. Questo, in assenza del Giudice supremo, appare all’improvviso una terribile ambiguità; l’unica Verità divina si scompose in centinaia di verità relative, che gli uomini si spartirono tra loro. Nacque così il mondo dei Tempi moderni, e con esso il romanzo, sua immagine e modello”. Passato, presente e futuro sono il racconto di Cesare e Dio, il diritto, la forza, la religione, una visione del mondo, una cosmogonia. Dubai è un esempio fisico e metafisico di questo paesaggio, Abu Dhabi ne è un altro pezzo brillante. I grattacieli di vetro e acciaio di queste città sono un’aspirazione verso l’alto, toccare il cielo, la proiezione di un desiderio (im)possibile grazie a una disponibilità finanziaria creata dal petrolio e dal gas che è stata declinata in turismo e servizi. Mentre il prezzo del petrolio scendeva, la capitalizzazione immobiliare di Dubai decollava a razzo. Certo, sono le fasi del boom e dello sboom, ma questa è l’economia. E vale per tutti, a qualsiasi latitudine. E non tutto, per fortuna, è spiegabile con l’economia.

 

La cultura, per creare ponti

La cultura resta il punto decisivo da cui partire per creare ponti e non divisioni, condividere esperienze e non conflitti, la comprensione è la base di tutto. Come si può pensare di raccontare lo sviluppo dell’Oman senza sapere che la sua capitale, Muscat, è uno dei centri più antichi del medio oriente? Da qui partiva la Via dell’Incenso che conduceva al Mediterraneo le carovane dopo 2400 chilometri e due mesi di viaggio. E’ dalla stessa strada che si entrava in Arabia Saudita, si toccavano città leggendarie come Medina (la “città illuminatissima”), Dedan (l’antica città dei re d’Arabia, citata nella Bibbia) e Hegra (primo sito del paese riconosciuto patrimonio dell’Unesco nel 2008).

 

Tutto l’immaginario occidentale è un bagliore del deserto, ma in realtà siamo in presenza di un paesaggio ricco come un mosaico, con il mare, la montagna, l’improvviso sfavillio delle oasi e una cultura carovaniera che esiste, ma oggi si accompagna con le flotte aeree più sviluppate del mondo. La cultura del viaggio e del trasporto. Emirates, la compagnia aerea di Dubai, fu fondata nel 1985 e aveva due soli aerei, trent’anni dopo ha la più grande flotta di Airbus 380 e Boeing 377 del mondo. Questo mix di antico e moderno è più forte che in Europa – per non parlare dell’America, un paese giovane dove oggi si fatica a riconoscere ancora la cultura della frontiera, la corsa del West – e costituisce il mistero, il fascino, spesso l’incomprensione tra oriente e occidente, titolo di un fondamentale libro di Renè Guenon il cui insegnamento, come scrisse il filosofo Franco Volpi, è in questo autore rappresentato dal “destino di una collisione tra la civiltà occidentale, caratterizzata da uno straordinario sviluppo materiale e da un corrispondente impoverimento morale e metafisico, e le civiltà che ancora conservano le vestigia di un ordinamento tradizionale. Come, appunto, quella islamica”. Mondi lontani e vicini, uniti dalle rotte dell’energia, separati troppo spesso dalla distanza della politica e della cultura. Facciamo ponti, serve a entrambi un passaggio sicuro nel futuro.

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