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Cala la produzione industriale nell'area euro

Mariarosaria Marchesano

Meno 0,2 per cento base su mensile e dello 0,3 per cento su base annua. L'analisi di Ubs sul futuro dell'Europa e dell'Italia: la riduzione dello spread è essenziale per proteggere redditi e patrimoni

Milano. Cala la produzione industriale in Europa nel mese di febbraio, confermando così le previsioni di ulteriore rallentamento economico, che, stando ai dati diffusi dall'Eurostat stamattina, riguarda soprattutto la zona euro e non tutti i 28 paesi membri dell'Unione europea.

 

Su base mensile la produzione industriale è diminuita dello 0,2 per cento negli stati aderenti alla moneta unica ed è rimasta invariata rispetto a gennaio nell'Ue allargata. Su base annua, il dato ha subito una flessione dello 0,3 per cento nell'area dell'euro, mentre è aumentato dello 0,3 per cento nell'Ue. Per quanto riguarda i singoli paesi, in Italia la produzione è aumentata rispetto a gennaio di quest'anno dello 0,8 per cento, in Francia dello 0,4 per cento mentre in Germania è calata dello 0,4 per cento e in Spagna dell'1,1 per cento.

 

Rispetto, invece, a febbraio 2018, il dato risulta in crescita in Italia dello 0,9 per cento, stabile in Francia, in calo del 2 per cento in Germania e dello 0,4 per cento in Spagna. In questo contesto, le Borse europee si mostrano deboli con una lieve tendenza al rialzo: Piazza Affari guadagna lo 0,2 per cento dopo le prime ore di negoziazione e anche il listino di Francoforte cerca la risalita in attesa del rating di S&P sul debito sovrano tedesco che sarà diffuso a mercati chiusi.

 

Nel complesso, è stata una settimana abbastanza piatta per i mercati finanziari, nonostante le nuove valutazioni scaturite dal meeting della Bce e i verbali della Federal Reserve, che hanno in sostanza confermato le deboli prospettive dell'economia globale. Gli investitori non riescono a trovare una direzione nelle loro scelte e, allo stesso tempo, e sono poco propensi assumersi i rischi derivanti dai fattori d'incertezza globale che possono minare la stabilità dei mercati, come le tensioni commerciali. La sensazione diffusa è che questa situazione di pigrizia si protrarrà almeno fino alle elezioni europee. Non è un caso che le grandi case di brokeraggio stiano cominciando ad interrogarsi sul futuro del Vecchio Continente in caso di una nuova recessione globale e sui possibili nuovi scenari post voto. 

 

"In questo momento, il sostegno dell'opinione pubblica all'euro è ai massimi storici ma una recessione sarebbe terreno fertile per le forze politiche populiste, che già hanno sfruttato la crisi degli scorsi anni e le ondate migratorie – dice Matteo Ramenghi, responsabile degli investimenti di Ubs WM Italia – Il futuro dell'euro dipenderà quindi dalla nuova generazione di leader che presto si insedieranno nelle principali istituzioni europee. Più che mai le elezioni europee, la composizione della nuova Commissione e la successione alla presidenza della Bce saranno delle pietre miliari nel processo di integrazione".

 

Per quanto riguarda l'Italia, secondo Ramenghi, il raggiungimento di un accordo sulla legge di bilancio con la Commissione Europea ha ridotto il rischio politico percepito dai mercati e ha consentito una riduzione dello spread. "L'Italia resta però su un sentiero stretto: in assenza di riforme e di continua disciplina fiscale, la prossima recessione globale potrebbe portare a ulteriori riduzioni dei rating creditizi creando condizioni tali da richiedere nuovi sacrifici fiscali. La riduzione dello spread è quindi essenziale per proteggere redditi e patrimoni, conclude.