L'ottuso ricatto del debole

Sandro Brusco

La proposta gabanelliana di convertire il Fondo salva-stati in un meccanismo di finanziamento dei paesi indebitati conferma agli occhi tedeschi che l’Italia preferisce la “tattica” dell’elemosina alla responsabilità

La settimana scorsa ha visto il rinfocolarsi delle polemiche sulla proposta sulla mutualizzazione del debito inizialmente propagandata da Milena Gabanelli come “geniale” risoluzione dei problemi del debito. Questo è dovuto al fatto che finalmente è comparsa la bozza della proposta e i quattro autori (Dosi, Minenna, Roventini e Violi) hanno risposto alle precedenti critiche di Roberto Perotti (basate su tradizione orale) apparse sul sito Lavoce.info. Riassumendo in modo estremamente rapido, la proposta è quella di espandere il ruolo del Meccanismo europeo di stabilità (Mes, spesso indicato come “Fondo salva-stati”) facendolo diventare, di fatto, una gigantesca compagnia di assicurazione contro il rischio di default da parte dei paesi più indebitati, tra cui spicca ovviamente l’Italia per la dimensione del suo debito. Il nuovo debito emesso ogni anno dovrebbe essere appunto assicurato e nel giro di una decina di anni si dovrebbe arrivare al punto di trasformare tutto il debito sovrano attualmente esistente nell’area euro in debito assicurato e garantito dal Fondo salva-stati. A fronte di questa garanzia l’Italia e gli altri stati considerati rischiosi verseranno un premio. I soldi dei premi incassati nel tempo dovrebbero essere utilizzati per investimenti pubblici nei paesi rischiosi, ossia principalmente l’Italia. Usando le parole degli autori “i paesi hanno incentivi a pagare i premi al Mes perché permetteranno di far ripartire l’economia nazionale grazie al volano degli investimenti finanziati dal Mes”.

 

Perotti ha pubblicato una risposta che a mio avviso chiarisce ulteriormente l’inconsistenza della proposta. Non starò a riassumere ciò che è già stato detto, il punto essenziale è che la proposta equivale a un trasferimento netto di risorse dalla Germania all’Italia (consentitemi la semplificazione, lo so che ci sono altri paesi coinvolti) e quindi non si capisce perché la Germania dovrebbe accettarla. Vorrei solo illustrare due punti addizionali che mi pare siano rimasti non evidenziati nel dibattito. Il primo punto riguarda la natura della situazione strategica.

 

Il ragionamento dei quattro estensori della proposta è che la Germania dovrebbe accettarla perché altrimenti l’Eurozona esploderebbe. Perotti ha già fatto notare un punto fallace del ragionamento. Usando le sue parole “ammesso e non concesso che lo status quo sia insostenibile, ciò non significa che una proposta iniqua, cervellotica,  irrealizzabile, e dannosa per tutti sia automaticamente preferibile”.

 

C’è però un altro problema. Ammettiamo pure che i tedeschi si convincano che gli italiani, mossi da pulsioni suicide, puntino risolutamente al collasso finanziario e quindi accettino di tassarsi per regalarci soldi. Secondo i quattro questo dovrebbe essere il punto finale della storia. Si fanno dei begli accordi a prova di bomba che non possono essere scardinati in alcun modo e si vive per sempre assicurati e contenti. In altre parole, la situazione strategica equivale a quella di un gioco che viene giocato una volta sola e alla fine del quale si mettono in atto accordi destinati a durare nel tempo. Questa visione del processo negoziale è pura fantasia. Per quanto forti sulla carta possano essere i vincoli al cambiamento dei comportamenti futuri, l’unico vero garante del rispetto dei trattati (in assenza di cannoniere da mandare ai paesi inadempienti) è il continuo interesse dei partecipanti a rispettare le regole. Purtroppo, una volta stabilito il principio che un paese che non ha mantenuto in ordine le proprie finanze e la propria economia ha diritto a essere premiato mediante trasferimenti da altri, non si può più tornare indietro. A quel punto il messaggio dovrebbe essere chiaro: chi si indebita verrà poi ricompensato, non punito. Ben a poco serviranno le varie clausole che possono essere scritte nel contratto di assicurazione. Per esempio, la proposta prevede che in caso di comportamenti che violano gli accordi l’assicurazione verrebbe a cadere e i soldi investiti nel paese restituiti. Ma a quel punto si riapplicherebbe lo stesso ragionamento: quei provvedimenti porterebbero all’esplosione dell’Eurozona, per cui dovrebbe essere facile convincere nuovamente i tedeschi, o chi per loro, a chiudere un occhio. Il contratto non è a prova di rinegoziazione. Le regole possono essere strette finché si vuole, ma non serviranno a nulla se esiste la convinzione generale che è bene fare concessioni ai paesi che si sono comportati irresponsabilmente per evitare guai peggiori.

 

Il secondo punto riguarda l’effettiva disponibilità di investimenti che possono fare da volano allo sviluppo economico del paese. E’ un punto importante dell’argomento, dato che tali investimenti e lo sviluppo economico che essi scateneranno sono, secondo gli argomenti dei quattro, parte fondamentale del processo che riporterà i paesi della periferia euro alla sostenibilità finanziaria. C’è però una domanda che è necessario fare. Se è vero che ci sono tutte queste opportunità di investimento ad alto moltiplicatore, perché c’è bisogno proprio dei contributi al Fondo salva stati per finanziarle? Se questi investimenti sono così buoni e produttivi allora si potrebbero tranquillamente finanziare con aumenti della tassazione o con riduzione della spesa corrente, continuando a rispettare i vincoli sul deficit. In altre parole si potrebbero attuare manovre di aumento della spesa pubblica in conto capitale pur mantenendo invariati i saldi di bilancio. La bontà e produttività conclamata di questi investimenti più che compenserebbe gli effetti negativi delle maggiori tasse o delle minori spese correnti. Non c’è nessun bisogno di stare ad aspettare alcuna mutualizzazione o alcun complicato schema di partite di giro in cui l’Italia prima versa soldi come premio assicurativo e poi se li ripiglia come investimento. Dato che gli investimenti sono così produttivi, una volta che i frutti iniziano a vedersi dovrebbe essere possibile compensare chi ha pagato per essi mediante maggiori tasse o minori trasferimenti. Diteci dunque quali sono questi investimenti, come ne viene calcolato l’impatto positivo, e perché non possono essere finanziati altrimenti. Altrimenti i malfidenti come me saranno portati a dubitare dell’esistenza di tutte queste meravigliose opere ad alto moltiplicatore.

Sandro Brusco
economista, Stony Brook University