Il sonno della ragione genera mostri, Goya

L'ascesa sovranista è stata accompagnata dal sonno dell'èlite

Marco Fortis

Quelli che hanno buttato via un sano sviluppismo con il referendum del 4 dicembre e ora ci condannano al degrado

La bocciatura del referendum del 4 dicembre 2016 ha bloccato ogni possibile evoluzione costituzionale ed elettorale capace di assicurare al paese un governo stabile e perciò in grado di affrontare con determinazione la sfida della modernizzazione e del rilancio della nostra economia. In aggiunta, con le elezioni del 4 marzo scorso gli italiani si sono fatti ammaliare da forze populiste che hanno promesso di liberare il nostro paese dalla povertà e dalla disoccupazione con ricette miracolistiche tipo flat tax, abolizione della legge Fornero, reddito di cittadinanza, ecc. Se non ci fosse da temere un default del nostro debito pubblico, sarebbe auspicabile che le forze uscite vincenti dalle elezioni ora governassero davvero e dimostrassero agli italiani di poter ottenere dei risultati concreti con le loro ricette.

  

La grande mistificazione sullo stato reale della nostra economia, dei suoi problemi e delle sue effettive possibilità di rilancio, non è però appannaggio solo delle forze populiste ma, purtroppo, anche delle élite di commentatori ed esperti vari di cui il nostro paese è particolarmente ricco: una opinione pubblica organizzata (media scritti e televisivi) che, come ha sottolineato Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore, non ha nemmeno sostenuto la riforma costituzionale bocciata il 4 dicembre 2016, anzi l’ha in gran parte ostacolata.

  

Queste élite non solo non hanno criticato severamente, come avrebbero dovuto fare in campagna elettorale, i programmi economici dei partiti populisti. Ma hanno sempre più o meno stroncato anche le scelte degli ultimi governi, lasciando intendere agli italiani che siano possibili miglioramenti sostanziali dell'economia con politiche più “intelligenti”. Tra queste politiche “intelligenti” figurano perfino crescite ipotetiche del pil italiano al 3 per cento annuo realizzate con fantasiosi tagli di tasse e del cuneo fiscale in contemporanea con la riduzione del debito pubblico mediante avanzi primari talmente alti da stroncare qualsiasi economia. Proposte che originano evidentemente da una assoluta non conoscenza dei fondamentali e delle statistiche. Passi che i populisti vogliano far credere che sia possibile avere la moglie ubriaca e la botte piena, ma che lo credano o lo vogliano far intendere le élite è davvero poco serio.

  

Le élite hanno sostanzialmente affermato che tutto ciò che hanno tentato di fare gli ultimi governi in campo economico ha generato risultati molto modesti. Il messaggio che le élite hanno dato agli italiani è di fatto lo stesso delle forze populiste e cioè che si potrebbe fare di più, molto di più. E questo è assai grave perché semplicemente non è vero.

   

In nome della riduzione del debito pubblico le élite hanno criticato perfino la flessibilità o come sono state impiegate le risorse che essa ha permesso di avere a disposizione. Nello stesso tempo le élite continuano a lamentarsi che pur con un pil riportato al più 1,5 per cento, cosa che non accadeva da anni, l’Italia rimane ultima per crescita in Europa.

  

Tutto ciò è paradossale. Infatti, escludendo la spesa pubblica, che l'Italia non può evidentemente aumentare e che molti opinionisti vorrebbero ridurre perfino di più per abbattere il debito, la crescita economica dell'Italia non sfigurerebbe persino nel confronto con la Germania. Anzi, è tra le crescite migliori nel continente nelle componenti della domanda su cui gli ultimi governi hanno potuto liberamente intervenire senza infrangere le regole europee che le stesse élite ritengono sacre. Se poi si tenesse conto anche del nostro peculiare calo demografico, la crescita dell'Italia risulterebbe perfino sorprendente e mai stata così forte come adesso negli ultimi due decenni. Infatti, per dinamica del pil pro capite l'Italia nel 2015-2017 è cresciuta di più della maggior parte dei maggiori paesi avanzati. I consumi pro capite delle famiglie italiane hanno avuto negli ultimi tre anni due volte il primo posto e una volta il terzo posto per più forte crescita tra i dieci più grandi paesi ricchi dell’Unione europea. E infine nell’ultimo biennio gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto in Italia sono quelli aumentati maggiormente in termini reali (più 16,2 per cento) tra i più importanti paesi manifatturieri europei. Tutte cose, è bene sottolinearlo, che non erano mai successe negli ultimi 20-25 anni.

  

Le élite ci hanno illustrato ampiamente che gli 80 euro, il taglio della componente lavoro Irap e della tassa sulla prima casa, il super ammortamento e il piano Industria 4.0, le decontribuzioni e il Jobs Act (che, per inciso, hanno creato circa mezzo milione di posti di lavoro stabili), l’avvio del reddito di inclusione, ecc. non sarebbero state, a loro giudizio, misure ottimali, a dispetto dei risultati economici di cui sopra. Risultati ottenuti, tra l’altro, senza scassare i conti pubblici, ma anzi stabilizzando il rapporto debito/pil. Le élite dovrebbero ora spiegare agli italiani quali saranno le possibili politiche economiche che potrebbero mettere in campo i partiti populisti se riusciranno a formare un governo e quali risultati economici essi potrebbero raggiungere, sempre però senza far crescere il debito.

  

In realtà, c’era – e c’è – un solo modo per far diminuire la disoccupazione, la povertà e il debito pubblico in Italia, specie dopo una crisi epocale come quella durata dal 2008 al 2013-2014. Era una convalescenza graduale dell’economia, non miracolosa ma costante, strutturata su un delicato equilibrio tra crescita e rigore, con un progressivo ammodernamento dello stato e dell’economia pubblica, con riforme come quella del lavoro attese da anni, con un progressivo potenziamento del reddito di inclusione. Una strada che stava producendo risultati importanti e che, se sarà abbandonata, ci esporrà invece adesso al disastro. A quel punto, se la situazione economica dovesse peggiorare anziché migliorare, i partiti populisti diranno che non sarà stata colpa loro, adducendo come pietosa giustificazione che essi non sono stati messi in grado di lavorare. Cosa diranno le élite sarà invece un'altra storia, ancora tutta da scrivere.

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