Marcello Minenna (foto LaPresse)

“Un'Europa senza spread”, la luna nel pozzo di Report

Sandro Brusco

Quelli che si illudono che l'Italia diventerà come la Germania a suon di prestiti della Bce

Ci sono momenti in cui è purtroppo necessario ricordare cose noiose ed elementari. Sono momenti brutti, in cui l’opinione pubblica è preda di tesi assurde e illogiche. In Italia, a quanto pare, sono anche momenti straordinariamente frequenti. Avviamoci allora mestamente all’opera.

 

Nell’inesausta ricerca di pozioni magiche che permettano al paese di riprendere a crescere senza fare alcuna fatica, vanno oggi per la grande le ricette di chi sostiene che una bella botta di deficit finanziata con gentili prestiti della Banca Centrale risolverebbe tutti i problemi. Così, finalmente, ci sarà un'Europa senza spread. E l'Italia diventerà come la Germania.

 

Questa promessa di luna nel pozzo, occorre dare atto, è splendidamente multipartisan e va ben oltre gli usual suspects del populismo neanderthaliano alla Grillo-Meloni-Salvini. La trovate nelle trasmissioni di denuncia di Report, nei deliri sulla doppia moneta di Berlusconi in campagna elettorale, nelle dichiarazioni di esponenti della sinistra-sinistra (che somiglia sempre più a una sinistra-destra rossobruna) come Fassina. Per il Pd le cose sono più complicate, data la responsabilità di governo, ma questo non impedisce che alcuni dei suoi esponenti si esibiscano di tanto in tanto in richieste di maggiore “flessibilità”, un termine che ha acquistato un significato tutto suo.

  

Un consenso tanto ampio non può che avere radici profonde ed è con tutta probabilità il frutto della tendenza dei partiti italiani ad accodarsi all’opinione popolare. Perché l’elettorato italiano (ma anche di altri paesi) sia così prono a dar credito alle favole che promettono soluzioni rapide e indolori dei nostri guai economici è invece tema complesso che qui non affronteremo. Questo articolo si limiterà a ricordare un paio di ovvie verità.

  

La prima ovvia verità è che è perfettamente normale che i debitori paghino tassi di interesse diversi, anche se si indebitano nella stessa valuta. Non c’è nulla di strano nel fatto che il Portogallo paghi tassi di interesse sul suo debito pubblico più alti di quelli che paga l’Italia. Non è il risultato di un complotto internazionale contro il Portogallo e a favore dell’Italia. Così come non c’è nulla di strano nel fatto che l’Italia paghi interessi più alti di quelli della Germania. Non è il risultato di un complotto internazionale contro l’Italia e a favore della Germania. E', semplicemente e banalmente, la conseguenza del fatto che chi investe ritiene il debito portoghese più rischioso di quello italiano, e quello italiano più rischioso di quello tedesco. Un investimento più rischioso lo accetti solo se il tasso di rendimento è più alto. La gente come il signor Marcello Minenna che, a Report, pensa che tutti i titoli di stato dell’area euro debbano avere lo stesso tasso di interesse evidentemente ritiene che Portogallo, Italia e Germania (più tutti gli altri, probabilmente Grecia inclusa) abbiano lo stesso livello di rischio, ossia zero.

  

In tal caso ho pronta la mia ricetta magica e indolore che frutterà immense ricchezze al paese senza alcuna fatica: emettiamo debito in modo massiccio all’attuale tasso di interesse e con i soldi raccolti compriamo titoli di stato portoghesi. Il rischio è lo stesso e il tasso di interesse che paghiamo sul nostro debito è inferiore a quello che i portoghesi ci pagano sui soldi che prestiamo loro. Visto che non c’è rischio addizionale, possiamo lucrare allegramente la differenza tra i tassi. E anche se la differenza tra i tassi d’interesse è piccola, possiamo rimediare con la quantità, fino a comprarci tutto il debito portoghese. Tutto guadagno, nessuna fatica, nessun rischio.

 

Se, anche solo per un momento, avete preso sul serio la proposta del paragrafo precedente significa che vi mancano basi elementari di economia e finanza. Ma questa sembra essere la situazione generale, il terreno su cui ciarlatani e apprendisti stregoni di ogni risma operano quotidianamente, abbindolando un pubblico che sembra ben disposto a farsi raccontare, in mille versioni differenti, la favola del povero paese preda delle forze internazionali del male e in grado di risollevarsi rapidamente senza sacrifici e senza fatica. Basta trovare un cavaliere bianco pronto a partire lancia in resta contro il turpe straniero.

  

La seconda ovvia verità è che non si può adottare una politica monetaria di finanziamento senza freni e senza limiti di qualunque deficit pubblico. Tutti i tentativi di farlo sono finiti male. Questo non significa che il finanziamento monetario sia sempre sbagliato né significa che la politica monetaria non possa essere accomodante, a seconda della situazione economica. Significa semplicemente che dire a un governo, qualunque governo, “spendi quanto vuoi senza preoccuparti, tanto si paga stampando moneta” porta inevitabilmente al disastro economico. Per amore della discussione si possono provare a immaginare condizioni sotto le quali questo non è vero. Se il governo è responsabile, se spende solo per investimenti che allargano la base economica, se nel momento in cui ciò accade ci sono molte risorse (lavoro e capitale) sottoutilizzate, se gli investimenti pubblici sono gestiti in modo efficiente e aumentano la produttività generale del paese e tutta un’altra carrettata di “se” allora il finanziamento monetario può non essere disastroso. Ma sono discussioni oziose. Le condizioni sono comunque temporanee e in ogni caso chi ha in mente l’espansione della spesa pubblica con finanziamento monetario non ha certo in mente investimenti produttivi: si va variamente dall’aumento delle pensioni fino ai bonus vari suggeriti. In altre parole esattamente il tipo di spesa per trasferimenti che è tanto efficace nel comprare voti quanto inefficace nell’aumentare il potenziale produttivo del paese.

 

Tanto dovevamo come dovere di informazione. Ora tornate pure ad ascoltare Report e tutta la combriccola di contorno.

 

Sandro Brusco è economista, Stony Brook University

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