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E ora tocca ai governi. Così la Bce apre una nuova fase sul Qe

Renzo Rosati

Draghi lancia il nuovo piano di acquisto di titoli di stato. Durata nove mesi, ma se necessario "si andrà anche oltre"

Roma. Il sospiro di sollievo dei mercati – Piazza Affari in testa, ma anche la Borsa di Francoforte, passando per il Cac 40 di Parigi – ha salutato l’annuncio del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi del proseguimento del soccorso monetario con l’acquisto diretto di obbligazioni pubbliche e private “al ritmo attuale di 60 miliardi al mese fino al 31 dicembre, e nel 2018 per 30 miliardi al mese fino a tutto settembre, e anche oltre se necessario”. Era lo scenario alla vigilia più gettonato dagli analisti, ma il quid in più è venuto da quelle tre parole, “e anche oltre”.

 

A questo, si aggiunge l’egualmente prevista conferma che, anche dopo settembre 2018, i tassi d’interesse resteranno a lungo intorno allo zero o in territorio negativo “ben oltre l’orizzonte dei nostri acquisti”, il che significa fino alla scadenza del mandato di Draghi a novembre 2019. Terzo punto, quando il Quantitative easing vero e proprio terminerà, la Bce non ritirerà la massa monetaria drenando liquidità, tipico comportamento del tapering, ma la reinvestirà “in modo massiccio” a sostegno dell’economia. “C’è ancora bisogno di un continuo supporto monetario” ha spiegato Draghi, con la solita motivazione: la ripresa in Europa prosegue, sia pure a macchia di leopardo, ma l’inflazione – target principale dell’Eurotower – non raggiunge, né prevedibilmente raggiungerà a breve, la famosa soglia di poco sotto il due per cento. Anzi, poiché si prevede un calo nei prossimi mesi del prezzo dei prodotti petroliferi, “avremo un andamento a W dell’inflazione”, cioè un ribasso dopo il lieve aumento, e una successiva ripresa. Alla consueta domanda sui favorevoli e contrari nel direttivo della Bce, Draghi ha risposto: “Tra consenso ampio e stragrande maggioranza”, precisando che l’ampio consenso ha riguardato proprio la decisione di non porre uno stop definitivo al Qe, ma di lasciare aperta la porta dell’“e anche oltre” il prossimo settembre.

 

Mentre sul reinvestimento della liquidità (ufficiosamente, 2.500 miliardi di euro) presumibilmente l’accordo è stato maggiore. Il vicepresidente portoghese Vítor Constâncio ha quantificato in 10 miliardi al mese i reinvestimenti, per durata indefinita e flessibile. Draghi ha definito la linea morbida della Bce, e sua personale, “fiduciosa, paziente e persistente”, smarcandosi da paragoni con la Fed americana che quando ha cessato gli acquisti ha annunciato per tempo (15 mesi) il rialzo dei tassi al momento, con annesso cronoprogramma. Poi Draghi ha come sempre passato la palla ai governi “che devono proseguire e implementare le riforme, a cominciare da quelle del lavoro, ma anche preoccuparsi della stagnazione dei salari, nonché degli investimenti”. L’impatto positivo non ha riguardato solo le borse, ma anche il rapporto di cambio con il dollaro (l’euro si è indebolito) e lo spread, sceso a 150 punti.

 

Chi in Italia paventava addirittura “un incubo spread” è stato smentito. Il sottinteso dell’allarme, come di altri simili, resta che i problemi italiani non sarebbero nostri, ma frutto di complotti orditi tra Francoforte e Bruxelles. Mentre del tutto italiano è il clima spensierato che accompagna il dibattito parallelo alla legge di Bilancio 2018. Pur con la lodevole resistenza del ministro Pier Carlo Padoan, tutti puntano ad aumentare il deficit, e di conseguenza il debito, e al ridimensionamento della riforma delle pensioni, con la Cgil, la gauche scissionista e la Lega che guidano la rivolta contro l’innalzamento a 67 anni dal 2019. E il Pd a strizzare l’occhio. La disponibilità di Draghi è stata superiore alle attese, ma non potrà durare in eterno né tantomeno oltre il suo mandato. Il ritorno alla normalità ci sarà, ma purtroppo le elezioni offrono un’ottima occasione per sprecare un altro anno.