Rinviare la ratifica del Ceta è un cedimento al sovranismo

Luciano Capone

In molti hanno fatto credere che il Ceta sia un trattato contro gli interessi economici e un attacco al Made in Italy. La realtà è l’esatto opposto

Roma. E’ un finale di legislatura tutto sulla difensiva quello del governo e della maggioranza che lo sostiene. Ha forse un senso che nella prossima legge di Stabilità ci sarà solo l’eliminazione delle clausole di salvaguardia e qualche risorsa su giovani e lotta alla povertà. In fondo qualsiasi altro provvedimento proposto prevede l’elargizione di risorse a fini elettorali. E pertanto bisogna accontentarsi del fatto che il ministro Padoan pensi a blindare i conti. Si comprende anche la difficoltà ad approvare lo ius soli per il veto di Angelino Alfano, che è una parte integrante e determinante della maggioranza. Ma non ratificare il Ceta – l’accordo commerciale tra Unione europea e Canada – per l’opposizione di Movimento 5 stelle, estrema sinistra, estrema destra e Coldiretti è la resa della responsabilità di governo alla protesta populista. Quella contro cui si alza la voce sui social network e nei talk show e che invece non si ha il coraggio di affrontare in Parlamento.

 

La conferenza dei capigruppo al Senato ha deciso, su proposta di Sinistra italiana, di far slittare sine die la ratifica del trattato approvato dal Parlamento europeo a febbraio ed entrato in vigore in via provvisoria – per quanto riguarda le materie di esclusiva competenza dell’Ue – lo scorso 21 settembre. La notizia è stata accolta in maniera trionfale dal fronte anti Ceta, come il primo passo per far fallire l’accordo tra Ue e Canada. Dalla maggioranza invece fanno sapere che il rinvio è dovuto al calendario denso: sono previste votazioni complicate e la discussione come il Def e la legge di Stabilità. Ma in ogni caso, dicono, il Ceta verrà discusso e approvato tra il Def e la Stabilità, al massimo entro la fine dell’anno, in ogni caso prima della fine della legislatura.

 

In realtà non sono necessari chissà quali approfondimenti. La discussione c’è stata e anche ampia, dura da anni, sia nel Parlamento europeo che in quello italiano (in commissione Affari esteri c’è stata una maggioranza larga e trasversale a favore del Ceta composta da Pd, centristi e Forza Italia). Dietro i tecnicismi, è quindi evidente la volontà di evitare di affrontare un tema ritenuto politicamente scottante, sapendo che il trattato è comunque entrato in vigore in via provvisoria.

 

Ma questo tipo di pavida furbizia se è efficace a livello pratico, rischia di diventare un boomerang a livello politico. Perché se non si ha il coraggio di difendere le proprie posizioni, lasciando spazio alla propaganda sfascista, presto o tardi quelle idee verranno sconfitte nell’opinione pubblica.

 

Il Ceta è proprio uno di quegli argomenti che vedono schierati due poli: quello europeista, sviluppista e liberoscambista contro quello sovranista, populista e protezionista. Ma è anche uno scontro tra una maggioranza silenziosa di produttori e una minoranza chiassosa che finora ha dominato la discussione attraverso una martellante propaganda piena di falsità, bufale e allarmismi. I sovranisti del M5s, della Lega, della Cgil, di FdI, della Coldiretti e Greenpeace hanno fatto credere che il Ceta sia un trattato contro gli interessi economici e un attacco al Made in Italy.

 

La realtà è l’esatto opposto. Il Ceta è un’opportunità per l’Italia, che grazie all’abbattimento di dazi e barriere non tariffarie può espandere il suo interscambio con il Canada e aumentare il suo export (che già adesso è di 3,7 miliardi). La cosa paradossale è che mentre i media danno voce ai falsi paladini dell’italianità come Di Maio, Salvini e la Coldiretti, i veri produttori delle eccellenze italiane sono tutti favorevoli al Ceta: Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma e San Daniele, Gorgonzola, Aceto balsamico di Modena, settori come la nautica, la ceramica, la meccanica, la cantieristica navale. La contrapposizione è tra chi ritiene che il mercato del Made in Italy sia quello rionale e chi ritiene che sia il mondo intero. E in questo tipo di sfide, chi vuole farsi interprete dello sviluppo e dell’innovazione non può lasciare campo agli avversari e giocare in difesa.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali