Quello che i sindacati non vi diranno mai sulle pensioni

Carlo Cottarelli

Allungamento della vita e calo della fertilità scaricano sui giovani il peso di chi esce dal mondo del lavoro

Durante un recente viaggio in treno, mi è capitato di conversare con un signore seduto di fianco a me che mi aveva riconosciuto come “quello della spending review”. Si parlava di pensioni. “Ma si rende conto – mi diceva – io ho cinquant’anni e dovrò lavorare fino a 69 anni! Come si può pensare che uno possa essere ancora lì a lavorare fino alla soglia dei settant’anni? E la mia pensione sarà pure bassa! Eppure i contributi io li ho pagati!”. Effettivamente, queste domande se le pongono in molti e molti danno la colpa per questa situazione agli errori delle passate riforme previdenziali, alla Fornero, al fatto che si sono riformate le pensioni per far cassa, o semplicemente all’incapacità dei nostri governanti. Val la pena però di approfondire la questione anche perché, con l’avvicinarsi delle elezioni, è probabile che aumenteranno le promesse di ammorbidire le riforme pensionistiche del passato e di aumentare le pensioni in essere.

 

Non è che le riforme delle pensioni si facciano per "far cassa"
o per altri biechi motivi. E' la conseguenza
del fatto che si vive
più a lungo

Vedete, il signore con cui conversavo in treno e che lamentava il fatto di dover lavorare fino a tarda età mi disse di non avere figli e probabilmente vivrà più a lungo dei suoi genitori. Chi gli pagherà la pensione? Semplifichiamo al massimo il problema per capire meglio. Pensiamo a un’isola in cui abitano solo 10 famiglie. Ogni famiglia è composta da due nonni, due genitori e due figli (lo so che i nonni dovrebbero essere quattro ma facciamo conto che questa famiglia si prenda cura solo dei nonni paterni; quelli materni sono con la famiglia della figlia!). La popolazione totale comprende quindi 600 individui. L’isola è bella ma, per qualche maledizione divina, si vive solo fino a 60 anni; però si va in pensione presto. Ogni individuo passa i primi vent’anni della propria vita andando a scuola, poi lavora per vent’anni (dai 20 ai 40) e poi va in pensione dai 40 ai 60 anni. I genitori (quelli dai 20 ai 40 anni) con il loro lavoro producono un reddito per sostenere i nonni (che sono in pensione) e i figli (che ancora non lavorano). Questa è una situazione stabile, che non richiede nessuna riforma delle pensioni. Passa il tempo e tutto si riproduce in modo immutato.

 

A un certo punto, la divinità che aveva deciso che nell’isola si moriva a 60 anni si impietosisce e decide che i nonni moriranno a 80 anni. Che succede nell’isola? Tutti festeggiano la buona notizia, naturalmente. I genitori e i figli sono felici di non veder morire i nonni così presto. I nonni anche di più. Oddio, tutti sono felici, però i figli si accorgono presto che, una volta raggiunti i vent’anni (l’età lavorativa) dovranno produrre non più per dar da mangiare a 6 persone (come in passato) ma per dar da mangiare a 8 persone: se stessi, i loro figli, i genitori diventati nonni e la nuova categoria dei bisnonni (i nonni che non sono morti a 60 anni). Che fare? La popolazione è aumentata: ci sono ora 800 persone sull’isola ma quelli che lavorano sono sempre soltanto 200. Supponendo che non si possa aumentare quanto prodotto da ciascun individuo, o si decide di mangiare di meno (a partire dai bisnonni che sono in giro solo perché la divinità ha cambiato idea...), oppure si fa una bella riforma delle pensioni in cui si decide che, visto che si vive più a lungo, si deve anche lavorare più a lungo e, quindi andare in pensione non a 40 anni ma molto più in là. Non è che la riforma si faccia per “far cassa” o per altri biechi motivi. E’ la conseguenza del fatto che si vive più a lungo. Prendetevela con la divinità.

 

L'Istat ha rivisto
le previsioni demografiche:
nei prossimi decenni,
la popolazione italiana continuerà a invecchiare e a ridursi più di prima

Supponiamo invece che la divinità non cambi idea sulla data di dipartita da questo mondo, ma che gli adulti di oggi decidano di non fare figli per vivere una vita più agiata consumando di più o lavorando di meno. La popolazione dell’isola si ridurrà a 400 persone: 200 in età lavorativa (non possiamo più chiamarli genitori) e 200 anziani (non possiamo più chiamarli nonni). Anche in questo caso sorge un problema: quando gli adulti di oggi raggiungeranno l’età di pensionamento (sempre 40 anni), non avranno figli che li sostengono e moriranno di fame prematuramente, se non continuano a lavorare. Il problema sarebbe attenuato se avessero risparmiato le risorse derivanti dal fatto che non dovevano alimentare i figli che non sono nati, ma se non lo hanno fatto, devono continuare a lavorare nonostante gli acciacchi. E se sono meno produttivi, mangeranno comunque di meno.

 

Lasciamo l’isola e torniamo in Italia. Le riforme pensionistiche in Italia (a partire da quella Dini degli anni ‘90 fino alla più recente riforma Fornero) sono state necessarie per due fondamentali motivi: l’aumento della speranza di vita (la speranza di vita a sessant’ani era di 21 anni nel 1990, mentre è salita a 25 anni nel 2012 e sta continuando a crescere) e il crollo del tasso di fertilità (i nati ogni anno si sono dimezzati tra l’inizio degli anni ‘70 e oggi). Come si può risolvere la situazione? Lavorando più a lungo senz’altro, ma questo risolve solo in parte il problema. Anche ammettendo che si possa restare produttivi in età avanzata (cioè che si allunghi non solo la vita effettiva, ma anche quella produttiva), resta il fatto che se si fanno meno figli, le nuove generazioni che avranno il compito di alimentare gli anziani saranno di dimensione più ridotte. Una soluzione sarebbe accumulare più risparmi in età lavorativa (con pensioni integrative), il che consentirebbe in futuro di compensare il minor numero di persone in età lavorativa, con una maggiore dotazione di capitale e quindi una maggiore produttività per ogni lavoratore. Ma se non si accumula più capitale, il problema resta. E non è colpa di Elsa Fornero o di altri, ma del crollo del tasso di fertilità.

 

Quel che è certo
è che non ci sono ora risorse per aumentare
le pensioni. E se anche ci fossero sarebbe sbagliato farlo

L’Istat ha di recente rivisto le proprie previsioni demografiche: nei prossimi decenni, la popolazione italiana continuerebbe a invecchiare e a ridursi anche più rapidamente di quanto previsto nelle precedenti proiezioni che risalivano a fine 2011. Nello scenario di base, la popolazione residente si ridurrebbe dagli attuali 60,7 milioni a 53,7 milioni nel 2065. L’età media aumenterebbe da 44,7 anni a oltre cinquant’anni. La popolazione in età lavorativa si ridurrebbe dal 64,3 per cento al 54,8 per cento, soprattutto per l’aumento degli ultrasessantacinquenni, che crescerebbero dal 22 al 33 per cento del totale. E questo anche ipotizzando un aumento del tasso di fertilità (dall’attuale 1.34 figli per donna a 1.59 figli nel 2065) e un continuo flusso migratorio in entrata di quasi 300 mila unità per anno nei prossimi decenni (il che sosterrebbe anche il tasso di fertilità).

 

Si può fare meglio? Dato per scontato che vorremmo tutti vivere più a lungo (non è quella la tendenza demografica da correggere!), non restano che due soluzioni: aumentare l’immigrazione o aumentare il tasso di fertilità. Il presidente dell’Inps Tito Boeri ha di recente sottolineato come gli immigrati contribuiscano a sostenere le finanze pubbliche e a pagare le pensioni degli anziani con i loro contributi. Certo, quello che ci serve è un’immigrazione legale e ordinata, non il flusso irregolare che ha caratterizzato gli ultimi anni che deve assolutamente essere interrotto, con o senza l’aiuto dell’Europa. Aumentare l’immigrazione potrà piacere o non piacere: l’integrazione culturale non è sempre facile e tensioni possono emergere. Se non vi piace l’immigrazione, allora non resta che cercare di aumentare il tasso di fertilità, e anche di parecchio. Altri paesi ci sono riusciti, come la Svezia che partendo da un tasso di fertilità che alla fine degli anni ‘60 era più basso del nostro, ha attualmente un tasso di fertilità molto più alto (1,88 contro 1,34) e non solo per l’aumento delle famiglie di immigrati. Il tasso di fertilità è cresciuto grazie anche a politiche di sostegno alla natalità (asili nido, benefici per i genitori) molto consistenti e molto costose. Al momento noi non abbiamo risorse pubbliche sufficienti per tali politiche, visto lo stato delle nostre finanze pubbliche (cose come il bonus bebè, bonus mamma eccetera non sono che palliativi che non hanno effetto se non aumentare la spesa pubblica).

 

Servono 300mila immigrati l'anno
nei prossimi decenni.
Se non vi piace l'immigrazione,
non resta
che aumentare
il tasso di fertilità

La riduzione del debito pubblico, le riforme per rilanciare la produttività del paese, risparmi su altri tipi di spesa potranno col tempo fornire le risorse per una politica della natalità più seria e consistente. Quel che è certo è che non ci sono ora risorse per aumentare le pensioni, cosa che probabile verrà promesso nella prossima campagna elettorale. Se anche ci fossero sarebbe sbagliato farlo, anche perché dal 2008 sono stati i giovani a pagare gli effetti della crisi. Al contrario, come ho sostenuto quando ero commissario per la revisione della spesa, sarebbe opportuno cercare risparmi di spesa anche in quest’area (per esempio con un ricalcolo delle pensioni in essere sulla base del metodo contributivo, al di sopra di una certa soglia di reddito), magari utilizzando le risorse così reperite per ridurre i contributi sociali dei nuovi assunti. Tagliare i vitalizi dei parlamentari è cosa buona e giusta, ma non risolve il problema dei conti pubblici.

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