Roma, via Nazionale, Palazzo Koch, sede della Banca d'Italia (foto Wikipedia)

Così lo stato entra nel mercato bellicoso dei crediti spazzatura

Renzo Rosati

Un mercato di dimensioni globali, estremamente concorrenziale, con aggressivi fondi, la domanda che domina sull’offerta. Ce la può fare?

Roma. I Non performing loans (npl), crediti deteriorati delle banche italiane, non sono una maledizione né una tassa destinata a gravare in eterno sui contribuenti che, tramite il Tesoro, hanno concorso al salvataggio delle due popolari venete e del Monte dei Paschi di Siena. Lo ha promesso sul Foglio il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: “Gli aiuti di stato dovrebbero rientrare in cassa. Alcuni casi internazionali e quello italiano dei Monti bond ci dicono che è possibile”. E, quanto alle venete dove la “good bank” è passata per un euro a Intesa, ripulita di Npl per 12 miliardi netti e obbligazioni subordinate per 1,7, “le modalità dell’operazione consentiranno nei prossimi anni di recuperare questo aiuto, che ammonta a 5,2 miliardi di cui 400 milioni di garanzie”.

  

Quando parla di casi internazionali Padoan si riferisce al Trouble asset relief program (Tarp), i prestiti federali autorizzati dal Congresso americano ai colossi di Wall Street dopo il crac Lehman Brothers: il Tarp, che agì soprattutto sui mutui subprime, si è chiuso con 441,7 miliardi di dollari recuperati su 426,4 investiti, un guadagno di 15,3 miliardi di dollari, il 3,6 per cento, 14 volte il tasso di sconto della Federal Reserve. I Monti bond, come quelli intitolati a Giulio Tremonti, sono stati invece erogati a quattro banche italiane per 8 miliardi, a interessi tra il 7,5 e l’11 per cento, tutti restituiti tranne 240 milioni di interessi di Mps, che hanno costituito la base per l’ingresso del Tesoro nell’azionariato dell’istituto. Tutto ciò smentisce fin qui la retorica dei “regali ai banchieri”. Ma ora lo stato diventa azionista e ripulitore di crediti deteriorati: un mercato quest’ultimo di dimensioni globali, estremamente concorrenziale, con aggressivi fondi, la domanda che domina sull’offerta. Ce la può fare? Gli npl nell’eurozona sono mille miliardi lordi, secondo il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea, e di questi un terzo riguardano l’Italia. A seguire (a distanza) Francia, Spagna e Grecia. Questo primato dipende soprattutto dal rapporto tra numero di banche, filiali e asset amministrati: da noi è di 129 milioni per filiale, metà che in Francia e Germania, un decimo che in Olanda. Ci batte la Spagna, che ha fatto la bad bank con gli aiuti europei.

Per inciso: non aveva torto Matteo Renzi a dire in tempi non sospetti che abbiamo troppi sportelli. Dunque i colossi della cartolarizzazione si sono fiondati sugli npl italiani stimati al netto 80 miliardi: Fortress, Värde, Lone Star, ma anche investitori a lungo termine come Pimco, Blackstone, Algebris e Cerberus, sono i player tra i quali cercano spazio Cerved (ex banca dati delle camere di commercio riconvertitasi alla finanza) e Atlante, il fondo privato concepito per i salvataggi bancari. Il business è promettente e dipende dal livello di svalutazione al quale si comprano gli npl. Mps, azionista Tesoro, ne ha appena ceduto ad Atlante 26 miliardi svalutati al 21 per cento. Però secondo Carmelo Barbagallo, capo della vigilanza della Banca d’Italia, “il livello corretto di svalutazione e del 40”.

  

Banca d’I’talia ricorda di aver chiesto da tempo la creazione “di una Asset management company italiana”; e in realtà un’iniziativa simile è stata presa proprio da Padoan quando nel 2016 il Tesoro, con notevole preveggenza, ha ricomprato da Intesa la Sga (Società gestione di attività), creata nel 1997 come bad bank per il salvataggio del Banco di Napoli ad opera di Bnl-Ina e poi di Intesa. Vi finirono l’equivalente di 9 miliardi di euro tra sofferenze, incagli e crediti a rischio, pagati 6,4 miliardi. A fine 2015 la Sga li ha recuperati quasi tutti, guadagnandoci 752 milioni certificati dal Servizio bilancio della Camera. Certo, quando fu congegnata l’operazione il direttore generale del Tesoro si chiamava Mario Draghi. Ma l’impegno di Padoan appare fondato. Guadagnare con la spazzatura bancaria, come con quella urbana, è possibile. Tuttavia in entrambi i casi serve lavorare. Sono inutili la propaganda, la gogna e il populismo da decrescita.

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