Wolfgang Schauble e Pier Carlo Padoan (foto laPresse)

Basta il pretesto delle banche venete per riaccendere l'euro-rivalità

Alberto Brambilla

In Germania la stampa sottolinea come l’Italia non sia capace di rispettare regole stringenti con relativo pericolo, in futuro, di scaricare i costi pure sui contribuenti tedeschi

Roma. L’ululato dei movimenti sovranisti europei che avrebbero potuto demolire l’euro è diventato poco più che un vagito in seguito ai risultati delle elezioni politiche in Olanda e in Francia dei mesi scorsi. Ma non c’è pace in Europa. Nemmeno dopo lo scampato pericolo pare possibile una tregua che impedisca ai paesi “partner” di trucidarsi gli uni con gli altri con l’ausilio d’ogni tecnica mediatica. La retorica è tornata aggressiva agli antipodi del blocco, Germania e Italia, alla prima occasione utile, la liquidazione con aiuto di stato per due banche venete.

 

Domenica scorsa – mentre 111 comuni andavano al ballottaggio, tempismo ardito – il governo italiano, con l’avallo della Commissione europea, ha assicurato per decreto capitali pubblici per 4,8 miliardi di euro, e fino a 12 miliardi in garanzie, per facilitare la chiusura ordinata di Veneto Banca e Banco Popolare di Vicenza, disastrati pesi medi (contano l’1,4 per cento) dell’industria del credito, e quindi sussidiare l’acquisizione delle attività sane da parte di Intesa Sanpaolo. Per un gettone Intesa riceve le attività buone (chiuderà 600 sportelli su 900) rafforzando la sua posizione di primazia nel nord Italia e soprattutto nel Veneto leghista – almeno se il decreto sarà convertito in legge così com’è stato accordato tra la banca di Carlo Messina e il governo. Contrari alla conversione sono i partiti euroscettici Lega e Forza Italia. Preferivano l’intervento diretto dello stato invece di dare i soldi a Intesa, sul modello Monte dei Paschi di Siena.

 

Permettendo l’uso di aiuti pubblici le autorità europee non hanno fatto nulla per eliminare la convinzione che il costo dei soccorsi bancari sia a carico dei contribuenti, come al contrario si erano proposte di fare con l’introduzione del bail-in, la risoluzione in capo ai privati partecipanti alla vita di una banca che ha avuto successo con il Banco Popular in Spagna a giugno. Tuttavia la controversa operazione italiana ha eliminato due banche screditate foriere di preoccupazioni sui mercati, senza contagiare il settore obbligazionario privato e producendo un’aggregazione tra istituti altrimenti imprevedibile.

 

La deroga al principio cardine del bail-in ha motivato reazioni strumentali nei media tedeschi. La stampa sottolinea come l’Italia non sia capace di rispettare regole stringenti con relativo pericolo, in futuro, di scaricare i costi pure sui contribuenti tedeschi qualora fossero condivisi in una Unione bancaria europea compiuta: “Gli aiuti pubblici alle banche italiane mettono in discussione l’Unione bancaria”, “Paura di un trasferimento dei rischi tra i paesi dell’Ue” (Börsen-Zeitung); “Unione bancaria all’italiana” (Frankfurter Allgemeine Z.); “Alla prima evenienza subito un’eccezione” (Süddeutsche Z.). E’ un riflesso delle élite funzionali tedesche, accentuato dalle elezioni in autunno, quello per cui se l’Ue agisce secondo le prescrizioni della Germania va tutto liscio, altrimenti la Germania non ha bisogno di questa Europa; già mantra di Waigel, Schröder e Lafontaine, evergreen dagli anni 90. Assunto che logicamente conduce al distacco degli stati europei del sud, a guida francese, da quelli del nord, a trazione tedesca. L’Europa a due velocità teorizzata, tra gli altri, con successo di pubblico e di critica, da Hans-Olaf Henkel, presidente degli industriali, ora europarlamentare di AfD, all’uscita del libro “Salvate il nostro denaro - la Germania viene svenduta!” nel 2010.

 

Alle fruste convinzioni tedesche corrisponde l’atavica impudicizia italiana, a detrimento della credibilità residua di Roma. Banca d’Italia dovrebbe desistere dall’invocare una revisione del bail-in – presidio a tutela della collettività – dopo aver evitato la risoluzione sulle venete: le perdite inflitte agli obbligazionisti subordinati avrebbero sottolineato le responsabilità dei regolatori per avere lasciato che quegli strumenti di capitale a rischio venissero venduti alla clientela comune – esclusiva del sistema italiano.

 

Con approccio pragmatico le autorità italiane hanno perseguito un percorso tortuoso – l’unico possibile – rimuovendo un guaio per l’industria europea che è prerequisito per il progresso dell’Unione bancaria.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.