Restaurazione illiberale

I voucher e la gravità della sottomissione alla Camusso spiegata dagli imprenditori

Alberto Brambilla

Abrogare i voucher apre a un lavoro nero senza tutele per giovani, pensionati e cassintegrati. Così le imprese insorgono

Roma. Il Consiglio dei ministri si riunisce questa mattina con l’intenzione di abrogare per decreto lo strumento principe usato da imprese e famiglie per il lavoro accessorio: i voucher. Una scelta populista della maggioranza che sostiene il governo Gentiloni fatta per regalare alla Cgil la vittoria al referendum senza neppure dover raggiungere il quorum ed evitare una guerra fratricida nel Partito democratico, già dilaniato in correnti. Retrocedere da una misura introdotta dieci anni fa e ampliata dal governo Monti, votata da Pd e Pdl, e poi migliorata dal governo Renzi (che ha introdotto la tracciabilità), appare un’impresa tanto inutile quanto dannosa per l’economia che porta a ricredersi in merito a qualsiasi promessa di svolta in senso liberale del paese. Nel 2015 i voucher hanno riguardato appena 303 mila persone (1,3 per cento della forza lavoro) per una media di 63,8 voucher a testa (638 euro annui). Di questi il 77 per cento è rappresentato da studenti, pensionati e persone che hanno un altro impiego e cassintegrati: soggetti per cui il voucher è uno strumento sussidiario. Senza tale strumento chi s’adopera per piccole prestazioni rischia di non lavorare più o di dovere lavorare senza tutele, in “nero”. E si complica molto la vita a centinaia di migliaia di imprenditori di bar, catering, ristoranti, stabilimenti balneari, discoteche, settore agricolo, fieristico – e anche dei sindacati (la Cgil usa i voucher). “Non posso che esprimere perplessità, preoccupazione, incomprensione verso un provvedimento di cui non vedo la logica”, dice Lino Stoppani presidente della Federazione dei pubblici esercizi. “C’è una rincorsa a sinistra che dimostra che la campagna elettorale è già avviata e a spese dei bisogni delle imprese. Un grave errore”.

 

  

A dover cambiare modus operandi, senza sapere al momento come, saranno sia grandi aziende sia realtà locali, anche d’antico pregio. Alessandro Cavo, quinta generazione alla guida dell’omonima pasticceria nata a Genova nel 1880 e poi industrializzata, dice che cambiare modalità di collaborazione è sconveniente per azienda e lavoratori ed è “l’ennesima prova di ignoranza delle cose comuni”. Cavo ha 20 dipendenti a contratto e 4-5 collaboratori a voucher. “Facciamo presentazioni, stand, fiere, saloni per noi era comodissimo avere due o tre persone per alcuni pomeriggi al mese con una facilità altrimenti impossibile con contratto a chiamata o dipendente, che costa molto (50 euro per farlo, 50 per registrarlo) e non vale la pena per poco tempo”. Quando ha convertito collaboratori da voucher a contratto, Cavo li ha visti “scontenti” perché “specialmente nei più giovani s’è creata l’idea di essere liberi professionisti, di lavorare per diversi datori, con una configurazione di orari e stipendio che preferiscono decidere da soli senza sentirsi vincolati”.

 

In agricoltura l’effetto è di incentivare il reclutamento illegale di lavoratori stagionali che per di più non avrebbero alcuna protezione assicurativa da eventuali infortuni. “L’abrogazione significa riportare nel ‘nero’ quanti in oltre dieci anni siamo riusciti a portare in emersione, ovvero oltre 50 mila lavoratori all’anno, per oltre 350 mila giornate”, dice Romano Magrini, responsabile lavoro e relazioni sindacali di Coldiretti, maggiore associazione di rappresentanza del settore agricolo. “Nessun pensionato sarà disposto a essere assunto per cifre non fiscalmente rilevanti e cumulabili con la pensione. Nessun giovane studente, ad esempio impiegato in agriturismo nei fine settimana, vorrebbe essere assunto come operaio agricolo dato che un domani la sua previdenza sarà tutt’altra”, dice Magrini ricordando che l’iniziativa dei voucher nacque in occasione della vendemmia del 2008. Guido Folonari, erede di una delle storiche famiglie del vino italiane in attività dal 1821, è sdegnato. “In Italia si va da un estremo all’altro, penalizzando aziende e persone per bene. Usavamo i voucher in vendemmia, hanno permesso di fornire aiuto alle categorie più deboli senza interferire con i lavoratori dipendenti. Per le fiere, ad esempio Vinitaly, dal 9 al 12 aprile prossimi, con i voucher davamo ai camerieri 405 euro netti e ai sommelier 645 netti per quattro giorni di lavoro. Ci facciano sapere come facciamo a farli lavorare”. In fondo al Vinitaly, la principale fiera internazionale del vino italiano, manca appena un mese. I guai per molti sono immediati. 

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.