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Ascesa e declino, dal miracolo economico alla stagnazione

Tanzi Vito

Ai fan dell’amarcord dell’Italia “in deflazione come nel 1959” consigliamo di vedere cos’è cambiato in 60 anni

L’Istat ha da poco comunicato che nel 2016, per la prima volta dal 1959, l’Italia è stata in deflazione. Nel 2016 i prezzi sono diminuiti in media dello 0,1 per cento rispetto all’anno precedente ma, escludendo gli alimenti freschi e i prodotti energetici, i prezzi sono aumentati dello 0,5 per cento. Considerando le difficoltà di misurare correttamente l’inflazione media per migliaia di prodotti, i cui pesi nelle spese delle famiglie e le cui qualità cambiano continuamente, è difficile capire perché questa notizia attragga attenzione e anche preoccupazione. La mancanza di inflazione dovrebbe essere una notizia gradita per l’economia e per i cittadini. La stabilità (approssimata) dei prezzi è sempre stato un obiettivo economico importante. Ma alcuni anni fa si cominciò a credere, senza giustificazione precisa e convincente, che la stabilità dei prezzi doveva essere concepita come un’inflazione del 2 per cento annuo. Per raggiungere quell’obiettivo, le banche centrali iniziarono politiche monetarie sempre meno ortodosse e potenzialmente dannose, almeno a lungo termine. Un’inflazione di meno del 2 per cento viene ora considerata, da alcuni economisti e dalle banche centrali, come un pericolo ed un ostacolo alla crescita. Quindi, la conclusione sembra essere che se l’inflazione fosse del 2 per cento, e non del meno 0,1, l’Italia crescerebbe più rapidamente.

 

Ci sono due problemi con questa conclusione. Il primo è che il miracolo economico italiano cominciò a esaurirsi proprio quando ci fu una accelerazione dei prezzi, durante gli anni Settanta. Il secondo è che l’altro esempio di crescita negativa dei prezzi, prima del 2016, avvenne nel 1959, proprio nel mezzo del miracolo economico, quando l’Italia cresceva a grande velocità. Questo indica che le economie possono crescere rapidamente anche quando i prezzi sono stabili o, addirittura, quando diminuiscono. Se la produttività aumenta, e il costo del lavoro aumenta meno della produttività, un’economia può crescere con prezzi stabili o in discesa.

 

Viene quindi da chiedersi perché dopo il miracolo economico – che dal 1945 a circa il 1975, fece crescere l’economia a circa il 6 per cento annuo, trasformando l’Italia da paese povero a paese ricco e sollevando il reddito pro capite fino a portarlo a oltre l’80 per cento di quello americano – l’economia italiana ha cominciato a decelerare rapidamente fino al punto di non crescere.

Ricognizione sui molti fattori concomitanti – politici, produttivi, fiscali e ideologici – per cui dopo il “miracolo” del boom l’economia italiana ha cominciato a decelerare rapidamente fino al punto di non crescere. C’entrano la classe dirigente, la spesa, le tasse e l’ipertrofia legislativa

E’ errore comune attribuire a un fenomeno una sola causa, quando invece – come nel caso del boom economico e del successivo declino – le cause sono molteplici.

 

La prima è che l’Italia del 1945 usciva da due orribili guerre e venti anni di fascismo. Era un paese economicamente povero ma con una cultura millenaria, con molte potenzialità e alcuni centri di eccellenza, che potevano sfruttare le innovazioni tecnologiche che esistevano in paesi più ricchi. L’Italia si trovava nella stessa situazione della Cina dopo la morte di Mao o della Germania e del Giappone dopo la guerra. Nei trent’anni del miracolo economico le economie erano ancora relativamente chiuse e le imprese nazionali avevano poca o minore concorrenza estera. Gli italiani che potevano permettersi l’acquisto di automobili, motoscooter o elettrodomestici, compravano solo prodotti italiani. Il governo poteva assistere e proteggere le imprese con diverse politiche e poteva concentrare la sua attenzione nella costruzione di infrastrutture che mancavano e che erano necessarie. I governi fecero vari errori, ma il risultato fu nell’insieme positivo.

 

Bisogna tuttavia ricordare che quel modello economico non poteva più essere seguito negli anni successivi, a cominciare dagli anni Ottanta, quando le economie diventarono più aperte e più competitive: il nuovo modello rese inefficienti le vecchie politiche.

 

La seconda causa è che negli anni del miracolo economico c’era una classe politica che aveva realmente come obiettivo lo sviluppo economico del paese. Anche quella classe politica fece ovviamente vari errori, soprattutto quando gli interventi di politica industriale erano giustificati più da obiettivi politici che economici. Ma c’era molta meno corruzione di quanta ce ne sarà a cominciare dagli anni Ottanta, quando diventerà sempre più difficile distinguere gli interessi politici, anche se a volte sbagliati, da quelli di partito o, sempre più spesso, da quelli puramente personali.

 

Il terzo fattore è di carattere macroeconomico: la forte crescita della spesa pubblica, della pressione fiscale e del debito pubblico. Fino agli anni Sessanta le tre variabili erano rimaste su livelli modesti. Poi la spesa pubblica è cominciata a crescere rapidamente, rincorsa ma mai raggiunta dalla pressione fiscale. L’idea keynesiana, che aveva cominciato a mettere radici negli anni Sessanta e che ha continuato a influenzare la politica economica, suggeriva che l’aumento della spesa pubblica genera sia crescita che benessere. A cominciare dagli anni Settanta la spesa e la pressione fiscale salirono rapidamente, anche se l’aumento delle tasse non fu mai sufficiente per coprire le spese. Il risultato è stato l’aumento del debito pubblico, che subito ha raggiunto livelli preoccupanti e dagli anni Ottanta è diventato una spada di Damocle che minaccia l’economia italiana.

 

Un’ultima causa che merita menzione è  la complessità che ha accompagnato gli sviluppi degli  ultimi  quarant’anni. C’è stata una straordinaria inflazione legislativa, perché i governi hanno trovato più facile fare nuove norme che governare. Decine di migliaia di leggi, spesso scritte male, hanno creato “red tape” e opportunità di corruzione. Il fenomeno, che esplose con Tangentopoli, non è stato un episodio transitorio, ma è continuato con una frequenza impressionante fino ai giorni nostri. Questo fenomeno ha messo in discussione la legittimità della funzione dello stato e ha creato impedimenti alla crescita economica.

 

Vito Tanzi è ex direttore dipartimento Finanza pubblica del Fmi, autore del volume “Dal Miracolo Economico al Declino?” (Jorge Pinto Books, 2015)

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