Foto di Franco Folini via Flickr

Mps e il giorno del giudizio per le banche

Alberto Brambilla

Nella “lista di proscrizione” dei grossi debitori troveremmo molto settore pubblico. La vecchia liaison tra stato e banca e la possibile grana del declassamento

Roma. La proposta del presidente dell’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli, di pubblicare i nomi dei primi cento debitori insolventi di una banca soccorsa dallo stato è sembrata al Foglio una specie di “lista di proscrizione” dei privati che hanno ricevuto denari dalla banca, la quale avrebbe invece dovuto controllare l’affidabilità dei debitori, forse con maggiore attenzione. La prima banca nella quale si guarderebbe è sicuramente il Monte dei Paschi di Siena che è in predicato di ricevere fino a 6,6 miliardi in prestito dallo stato per soddisfare un aumento di capitale che alla fine dell’anno scorso nessun grande investitore privato ha voluto sottoscrivere. Ora si vorrebbero i nomi dei privati debitori, col rischio di esporli al pubblico ludibrio, ma molto probabilmente a scandagliare la banca senese che ha vissuto della commistione con la politica ben oltre la “privatizzazione” del 1995 troveremmo anche molto settore pubblico. Delle 150 società partecipate dagli enti pubblici toscani che  furono individuate dall’ex commissario alla Revisione della spesa, Carlo Cottarelli, funzionario del Fondo monetario internazionale, quelle con un  patrimonio eroso dalle perdite erano tutte partecipate da società del Monte dei Paschi oltre che da vari enti locali, riportava Repubblica Firenze. Stb Società Terme&Benessere, Copaim e Polo universitario grossetano. Cui s’aggiungono la Fidi Toscana Spa, finanziata e partecipata da Mps, poi le Terme di Chianciano (esposizione da circa 10 milioni), e l’Interporto Toscano. E si arriva, come riporta Franco Bechis su Libero, fino alla disastrata Atac di Roma – città che lo stato e i contribuenti puntellano da anni – finanziata anche dal Mps. E’ ovviamente irrealistico pensare che 27,7 miliardi di crediti deteriorati (lordi) arrivino da municipalizzate e società regionali, ma avranno certo un peso per una banca invischiata nel mitologico “territorio”.

 

I legami con gli enti locali sono nella natura di Mps, già tesoreria del comune di Roma. Per anni la Fondazione Mps ha fatto da garante del “groviglio armonioso”: era un argine utilizzato dalla politica per controllare la banca, e innaffiare il “territorio”, ma ha gradualmente ridotto la sua partecipazione in Mps dal 51 per cento allo 0,1 di oggi, perdendo influenza. Non stupisce dunque che Mps fosse chiamata a intervenire in molte realtà locali, come accade anche con altri istituti, e ne paghi tuttora il costo. Tuttavia il legame del Monte con il settore pubblico è stato per molti versi patologico. Mentre sotto le elezioni politiche 2013 i media osservavano il “dito” del cosiddetto scandalo derivati che portò alle dimissioni dall’Abi l’ex dominus di Mps, Giuseppe Mussari, pochi guardavano alla “luna” dei titoli di stato.

 

A colpire Mps più delle perdite per i derivati (si calcolò all’epoca qualche centinaia di milioni) furono i Btp a lunga scadenza – un portafoglio da 27,7 miliardi curiosamente simile per ammontare allo stock odierno di crediti cattivi che però è di tutt’altra natura. Disse l’allora presidente di Mps Alessandro Profumo il 28 agosto 2012: “L’errore maggiore non fu l’acquisto di Antoneventa, ma l’acquisto di 27 miliardi di titoli di stato che oggi ci mangiano 5 miliardi di capitale. Senza di questi non avremmo avuto bisogno di supporto pubblico”, ovvero di ricorrere prima ai prestiti salati dei Tremonti (1,9 miliardi al tasso del 7,5 per cento) e soprattutto poi dei Monti Bond (4,92 miliardi al 9 per cento iniziale, a salire dello 0,5 l’anno), i cui interessi non furono corrisposti in toto da Mps al Tesoro che di conseguenza divenne socio della banca. Ma i rischi di avere una forte inclinazione a finanziare il pubblico non sono finiti. Il prossimo venerdì 13 potrebbe rivelarsi una giornata davvero infausta per le banche italiane. A mercati europei chiusi, l’agenzia di rating canadese Dbrs potrebbe declassare il merito di credito dell’Italia, concludendo una revisione del rating (con outlook negativo) iniziata in agosto ma rimandata in attesa del risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre. L’agenzia di Toronto diceva che il migliore risultato possibile era la vittoria del Sì ed è l’unica agenzia ad avere mantenuto un rating A- (a differenza di Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch in area B), decisivo per avere finanziamenti favorevoli dalla Banca centrale europea. La scelta non è prevedibile né scontata ma se l’emittente Italia dovesse perdere punti sarebbe deleterio, avverte la banca Hsbc. Le banche italiane detengono almeno 350 miliardi di titoli di stato (il 9,9 per cento degli asset in possesso) e un declassamento renderebbe più costoso per quelle che usano Btp come collaterale ricevere finanziamenti della Bce: per i titoli a sei anni il costo aumenterebbe dal 12,5 al 38,5 per cento, per i decennali dal 5 al 13. La liaison tra banche e stato non è molto romantica.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.