Deutsche Telekom (foto LaPresse)

Bene l'idea di "sintesi nazionale"

Paolo Romani

La sfida è nel trovare il giusto equilibrio fra due esigenze fondamentali e apparentemente in contrasto, nazionalismo economico e politiche europee più organiche

Al ministro Calenda, di cui pure ho apprezzato alcuni passaggi e valutazioni, mi sento di rispondere prima di tutto che non avremmo perso venticinque anni se la sinistra, adducendo motivazioni esattamente opposte a quelle riformiste sostenute nella campagna referendaria, nel 2005 non avesse bloccato una riforma istituzionale per molti versi madre di quella approvata molto più faticosamente in Parlamento in questi ultimi tre anni. Tutte le forze politiche responsabili hanno nel Dna l’esigenza e la capacità di disegnare riforme per rendere il paese più efficiente, non solo delle istituzioni ma del complesso della macchina-stato: a partire dai meccanismi di funzionamento, con meno burocrazia e meno confusione nella distribuzione delle competenze, fino alla gestione politica, con meno timidezza negli interventi di revisione di parti dello stato per i quali possano essere sufficienti leggi ordinarie e meno soggezione nei confronti dei paletti imposti dalle autorità europee. Ricordo spesso come qualche anno fa in un Consiglio europeo dei ministri con all’ordine del giorno lo sviluppo delle Tlc in Europa, a fronte della contestazione di un paese nei confronti della posizione monopolista di Deutsche Telekom in Germania, il ministro tedesco dello Sviluppo economico di allora rispose che nessun paese, tantomeno la Commissione europea, poteva permettersi di giudicare la posizione di una grande azienda nel mercato interno tedesco. Con una brutalità pari all’efficacia. E nessuno fiatò. La sfida è nel trovare il giusto equilibrio fra due esigenze fondamentali e apparentemente in contrasto, nazionalismo economico e politiche europee più organiche, con due corollari: primo, la debolezza italiana è che abbiamo poche grandi aziende, mentre la Francia ne ha più di quaranta, e ciò nonostante il secondo, solo dopo la Germania, esportatore d’Europa; secondo, i paesi industriali europei, nostri competitor, agiscono sui mercati internazionali come sistema-paese, guadagnando un vantaggio competitivo nei confronti delle nostre aziende. La priorità per l’Italia è proprio quella di riattivare la capacità di fare sistema, anche nell’ambito delle istituzioni europee, laddove i diversi livelli di rappresentanza del nostro paese sembrano agire troppo spesso in maniera sconnessa se non contraddittoria, a differenza degli altri stati che esprimono una posizione unitaria e di conseguenza più forte.

Paolo Romani è capogruppo di Forza Italia al Senato

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