La sede del monte dei Paschi di Siena (foto Gilda via Flickr)

E' davvero una buona idea aprire le porte di Mps ai fondi del Qatar? Dubbi

Redazione
Sarebbe ingenuo intravedere in questa partita solo logiche di business nelle operazioni di alcuni fondi sovrani. Dietro alla ricerca di profitto, si può inserire surrettiziamente un’agenda politica.

Con “grande rincrescimento”, Corrado Passera, ex banchiere ed ex ministro, in accordo con gli investitori che rappresenta, ha ritirato la sua proposta di rilancio per la banca Monte dei Paschi, risalente al 13 ottobre, a causa della “totale chiusura” del consiglio di amministrazione nel prendere in considerazione un piano alternativo a quello appoggiato dal governo e gestito dalla banca americana JP Morgan. La chiusura è stata oltranzista al punto che, dice Passera, il suo piano non è stato nemmeno esaminato dalla banca e la banca stessa ha inoltre ritenuto – a suo unico giudizio – che pure la Banca centrale europea non l’avrebbe considerato. Ora il successo del salvataggio di Mps, l’ultima spiaggia per l’istituto, dipende dal neo ad Marco Morelli, ex di JP Morgan, il quale per conto della banca senese sta cercando investitori capaci di garantire 5 miliardi di euro per la ricapitalizzazione.

 

La qualità e il passaporto degli investitori possono fare grande differenza per la credibilità sui mercati di un istituto dalla reputazione sgualcita come Mps. Passera era affiancato da fondi di fama globale come Warburg Pincus, fondo di private equity creato a New York nel 1938 da Eric Warburg, discendente dell’omonima dinastia di ebrei statunitensi d’origine tedesca, dal fondo inglese Atlas di Bob Diamond, ex ceo di Barclays, e dal fondo americano Bc Partners che compete con altri colossi dell’asset management. Morelli – il cui piano vale il doppio di quello di Passera – sta da parte sua sondando in particolare dei fondi sovrani, la cui natura statale già fa vacillare l’idea propalata da alcuni media e dal governo di un salvataggio squisitamente “privato” di Mps. Morelli a Doha ha cercato il favore del fondo del Qatar, molto attivo in Europa con l’acquisto di proprietà immobiliari in quartieri finanziari a Milano, Londra e Parigi, e più di recente attento, per diversificare dalle rendite petrolifere, a istituti europei di prima forza come la tedesca Deutsche Bank di cui possiede il 10 per cento e potrebbe salire al 25.

 

Repubblica ha scritto che il Qatar investirebbe 1 miliardo di euro in azioni Mps e subito le girerebbe alla Cassa depositi e prestiti ponendo in capo al “fondo sovrano” tricolore i rischi derivanti dalle fluttuazioni di prezzo del titolo: un’agevolazione concessa alla monarchia sunnita, centrale internazionale dal wahabismo, per entrare nella terza banca italiana.

 

Sarebbe poi ingenuo intravedere in questa partita solo logiche di business nelle operazioni di alcuni fondi sovrani in quanto, dietro alla ricerca di profitto, si può inserire surrettiziamente un’agenda politica, con gli investimenti che diventano pilastro per impostare una guerra economica.

 

Nel Seicento il Monte, che ha per stemma i paschi d’oro simbolo dei Chigi, famiglia dell’aristocrazia papalina d’origine senese, aveva conquistato l’Europa, ora è invece offerto ai suoi conquistatori. L’italianità, specie quando si parla di banche, è un errore considerarla un valore a se stante e infatti non lo è. Ma interrogarsi se sia il caso di mettere una delle più grandi banche italiane nelle mani di un fondo sovrano legato a un paese che ha molte ambiguità con il terrorismo internazionale è una domanda che non si può non fare. Specie se quel paese, oggi, si chiama Qatar.