Il treno modernizzatore che i sindacati perdono con l'attuale contrattazione

Valerio Gironi
Si delinea un rischio di “inconcludenza e irrilevanza” per il sindacato, parola di Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl

Un moderno sistema di relazioni industriali per un modello di sviluppo fondato sull’innovazione e la qualità del lavoro”. Questo l’inequivoco titolo del documento varato dagli esecutivi di Cgil, Cisl e Uil per aprire una nuova stagione di confronto con Confindustria e soprattutto per evitare che ci pensi Matteo Renzi a farlo. Una pressione, quella del presidente del Consiglio, che non ha aiutato il sindacato a cercare un’intesa coraggiosa e innovatrice.  Infatti, dopo una lettura attenta delle 20 pagine del testo (i Dieci comandamenti erano solo due tavole e hanno cambiato il mondo), si fatica a trovare il “moderno” e il “modello di sviluppo” che si auspicano nel titolo, anzi, ancora una volta, il documento pare orientarsi a fotografare l’esistente senza fare uno sforzo d’immaginazione per il futuro; salvo la parte in cui si parla di partecipazione e di consigli di sorveglianza, però, al momento, partecipazione e consigli sono semplicemente auspici piuttosto che realtà. Realtà, come noto, fatta di un corposo 90 per cento di medie, piccole e piccolissime industrie, molte a conduzione familiare, dove la gestione la fa el paròn, mentre i sindacati si augurano che sia “in termini compiuti e complessivi” (neppure la stele di Rosetta potrebbe spiegare cosa significhi), una realtà fatta di competizione mondiale, prodotto per prodotto, azienda per azienda. Inoltre lo sviluppo del sistema manifatturiero, fatto di costante evoluzione di processo e di prodotto, predilige una flessibilità governata e gestita dove si produce e non altrove. I sindacati, invece, nel documento indicano ancora il contratto nazionale come regolatore, fonte primaria e peggio ancora linea guida per lo sviluppo della contrattazione “assumendo una nuova e maggiore titolarità nel definire le norme di rinvio” al secondo livello. Secondo livello che, per un malinteso senso del decentramento, viene frantumato in aziendale, territoriale, di distretto, sito, filiera. Questo è fotografare appunto l’esistente, ma non è utile per trovare strumenti e ruoli per catturare la produttività e  rendere competitiva l’impresa.

 

A questo punto è chiaro che per il futuro si delinea un rischio di “inconcludenza e irrilevanza” per il sindacato, parola di Marco Bentivogli, segretario generale dei metalmeccanici della Cisl. Siccome a qualcuno può sfuggire il senso delle parole, Bentivogli rincara la dose: “Non si può allo stesso tempo sostenere la centralizzazione e il decentramento”. Più chiaro di così… Dal rischio di inconcludenza e irrilevanza al rischio del ridicolo il passo è breve. Infatti, dopo aver contribuito a svuotare e, di fatto, affossare, il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (il mitico Cnel) della sua funzione fondativa, cioè l’incontro tra capitale e lavoro sancito dall’articolo 99 della Costituzione, adesso il sindacato scopre che è “necessario individuare momenti e sedi di confronto tra le parti sociali sulle grandi variabili economico-sociali”. Certo in modo inconsapevole, ma questo passaggio del documento certifica tutta la debolezza del sindacato, cioè l’essere fuori dai grandi processi di trasformazione economica e di non aver ancora capito che la sua forza e il suo rilancio stanno  nella scelta di accompagnarla e non osteggiarla. Il vento non si ferma con le mani, però si può sfruttarlo, come ben sanno marinai e paracadutisti.

 

[**Video_box_2**]Sarebbe però ingeneroso non riconoscere a Cgil, Cisl e Uil di averci provato, almeno a vedere il sommario del documento. E’ nel testo che le buone intenzioni si perdono. Scrivere: “In una prospettiva generale di rilancio della crescita, alla quale deve contribuire un rinnovato esercizio contrattuale, il processo redistributivo della ricchezza prodotta deve intervenire a tutti i livelli della contrattazione, in modo da realizzare una crescita dei salari, non solo riferita alla tutela del potere d’acquisto, che si rivolga alla generalità delle lavoratrici e dei lavoratori”, non solo fa a schiaffi con l’italiano, ma continua ad alimentare quel dualismo contrattuale improduttivo e pericoloso che preoccupa Bentivogli e non solo lui. Anche la parte che il sindacato dedica al welfare (il documento lo ribattezza “contrattuale”) sa di  affannoso. Infatti buona parte della materia è stata frutto delle cosiddette liberalità aziendali, cioè quegli accordi fatti senza  il sindacato o almeno solo con il consenso del sindacato aziendale, che hanno indotto società come, Barilla, Luxottica, Ferrero, Nestlé, per fare qualche esempio, a offrire agevolazioni (asili nido, buoni spesa, assistenza integrativa, assistenza alla maternità, eccetera) non monetizzabili ma di sicuro vantaggio per i lavoratori. Dunque, anche in questo caso siamo alla rincorsa piuttosto che all’innovazione; a meno che il sindacato non abbia il coraggio (dubito) di considerare il welfare parte integrante del salario. Comunque il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ha già bollato il documento come roba vecchia e superata. Inviperita Susanna Camusso ha ribattutto “superati sarete voi”. Insomma, mentre il mondo cambia alla velocità della luce e con lui il lavoro, qui siamo ancora al “che barba , che noia; che noia che barba” del memorabile duo Vianello-Mondaini. Almeno facevano ridere, qui non dico che c’è da piangere, ma siamo vicini alla forte commozione.

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