L'impatto della Quarta rivoluzione industriale sull'occupazione nel mondo e in Italia. Dati e infografiche

Redazione
Secondo un report del World economic forum i cambiamenti del mondo del lavoro potrebbero provocare una contrazione del numero dei lavoratori. Perché il mercato del lavoro italiano però non dovrebbe risentire troppo delle mutazioni.

Il mercato del lavoro è entrato in quella che i tecnici del settore non esitano a chiamere "quarta rivoluzione industriale", ossia un insieme di trasformazioni che grazie alla robotica, all'intelligenza artificiale, alle nanotecnologie, alla stampa 3D, alla genetica e alle biotecnologie stanno modificando non solo il modello del business, ma anche il numero e le modalità di utilizzo della forza lavoro. Meno uomini e più macchine, macchine capaci di gestire autonomamente quasi l'intera filiera produttiva, sembra essere la strada intrapresa dall'industria mondiale. Un modello che secondo un rapporto pubblicato oggi dal World economic forum (Wef) potrebbe causare una significativa diminuzione dei posti di lavoro globali (circa 7,1 milioni di occupati in meno) all'interno delle prime quindici economie più sviluppate al mondo.

 

Numeri considerevoli, ma che, come sempre è accaduto, potrebbero essere tendenzialmente sovrastimati. Un'ecatombe di posti di lavoro era stata pronosticata dagli analisti nel 1998 durante quella che viene ricordata come la bolla delle dot-com: tra il 1997 e 2000 i paesi più industrializzati assistettero alla fondazione di un numero elevato di nuove aziende nel campo delle attività legate al settore informatico e più nello specifico in quello riguardante la crescita, allora impetuosa, di internet. Uno studio del Wall Street Journal aveva pronosticato una diminuzione di quasi 6,5 milioni di "posti di lavoro tradizionali" nei successivi dieci anni causata dal cambiamento dell'economia e dalla creazione dei primi e-commerce. Le cose però andarono molto diversamente, molte di quelle nuove aziende fallirono e il sistema di commercio iniziò a cambiare, tra le altre cose in modo non vorticoso, solo dal 2010.

 

Le perdite stimate verranno parzialmente compensate, secondo il report, dalla creazione di almeno 2,1 milioni di nuovi posti di lavoro in quei settori a elevata tecnologizzazione, come computeristica, informatica, architettura e ingegneria. I settori invece che subiranno le maggiori perdite dovrebbero essere quello sanitario, quello energetico e quello finanziario.

 

 

[**Video_box_2**]La cosiddetta quarta rivoluzione industriale dovrebbe però non colpire ovunque allo stesso modo, secondo gli analisti del World Economic Forum. A essere più colpite infatti saranno le economie che in questi anni sono cresciute grazie soprattutto allo spostamento della produzione delle aziende europee e americane, che dato l'incremento delle tecnologie impiegate nella realizzazione dei prodotti, la sempre maggiore rilevanza di competenze specifiche nella progettazione e nella produzione, dovrebbero riportare una grossa fetta delle attività produttive nei paesi d'origine. Come sottolineato anche dal presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, "senza un'urgente e mirata azione per gestire la transizione nel breve e nel medio periodo per costruire una forza lavoro con competenze futureproof, i governi dovranno fare i conti con una crescita della disoccupazione". E una transizione rapida è più semplice in un paese ad alto tasso di scolarizzazione e con un sistema accademico adeguato.

 

 

La trasformazione non investirà solo la forza lavoro ma anche e soprattuto il modo di lavorare. Le nuove tecnologie infatti stanno introducendo una nuova modalità lavorativa che può essere sintetizzata nell'espressione "anytime, anywhere", ossia in pratica nella tendenza a lavorare in ogni luogo e in ogni momento a seconda dell'esigenza, grazie alla crescita della banda larga e della tecnologia cloud. Il cambio delle modalità di lavoro porta con se ovviamente l'esigenza di nuove competenze. Secondo il report l'Italia sarà uno dei paesi che dovrà più impegnarsi in questa trasformazione: nei prossimi cinque anno i lavoratori italiani dovranno sostituire circa il 40 per cento delle proprie competenze principali (il Giappone il 25, la Francia il 28, Stati Uniti il 29, Germania il 39 per cento). Questo cambiamento dovrebbe quindi sfavorire da un lato i lavoratori già assunti, chiamati a un massiccio aggiornamento professionale, ma dovrebbe permettere un maggior ricambio di classe lavorativa, facendo in questo modo pesare in modo minimo il cambiamento tra vecchi posti di lavoro saltati e nuovi posti di lavoro creati.