Lo scetticismo di Standard&Poor's sulla pseudo-bad bank italiana

Elena Bonanni
I crediti deteriorati sono ormai arrivati al 20 per cento del totale dei prestiti. Solo le sofferenze, hanno rivelato i dati di Bankitalia da poco diffusi, hanno sfondato a novembre il muro dei 200 miliardi. Come uscirne? Parla Mirko Sanna Associate Director Financial Institutions di Standard & Poor's

Una bad bank “leggera ma efficace”. Così il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan, entrando all’Eurogruppo, ha definito la soluzione che il Governo ha proposto a Bruxelles. L’obiettivo è alleggerire i bilanci bancari dalla montagna di crediti deteriorati che impediscono agli istituti di erogare ulteriore credito. "E’ una proposta a cui lavoriamo da tempo, che completa strumenti che già abbiamo sul terreno come le nuove procedure concorsuali – ha detto - sarà leggera ma efficace" e "il meccanismo della garanzia pubblica potrà essere parte della proposta".

 

I crediti deteriorati sono ormai arrivati al 20 per cento del totale dei prestiti. Solo le sofferenze, hanno rivelato i dati di Bankitaliada poco diffusi, hanno sfondato a novembre il muro dei 200 miliardi. Di fronte a tale mole di carta problematica, senza un intervento specifico non è possibile pensare a un miglioramento sostanziale nel breve periodo. “Solo interventi esterni come la creazione di un mercato efficace per i crediti deteriorati o una bad bank potrebbero portare a una riduzione degli stock nel breve periodo”, ha rilevato ieri durante la conferenza stampa annuale l’agenzia di rating Standard&Poor’s. "Con le attuali normative – ha spiegato al Foglio Mirko Sanna, Associate Director Financial Institutions di Standard & Poor's – lo stock di crediti deteriorati continuerà a pesare sui sistemi bancari per diversi anni. Siamo comunque in una situazione di stabilizzazione”.


 
Sul fronte della bad bank vera e propria il treno è però già passato: oggi ci  sono ostacoli normativi per attuare un intervento incisivo come quello spagnolo. E non rimane, appunto, che pensare a una soluzione più snella. “Oggi – ha detto Sanna – non vediamo probabile una soluzione incisiva come quella fatta in Spagna, quello che sarà implementato sarà per forza di cose più soft. In ogni caso vediamo positivamente qualunque soluzione che permetta alle banche di fare uscire dai bilanci i crediti in sofferenza senza avere un impatto significativo. Anche se a oggi non abbiamo visto questo tipo di strumento".

 

I crediti deteriorati, assieme alla difficile congiuntura economica, hanno rappresentato il Cavallo di Troia del sistema bancario italiano: partito da una situazione più solida di altri, non ha avuto bisogno di interventi di salvataggio quando altri Paesi sborsavano fior di quattrini per tenere in piedi le proprie banche e ora, proprio quando le regole comunitarie sono diventate più stringenti per la crisi e per i generosi salvataggi, il comparto si trova in affanno e in ritardo. “Il sistema bancario italiano deve ancora affrontare rischi maggiori rispetto ai peer europei sia per ragioni strutturali che a causa della recessione degli ultimi anni",  dice al Foglio Sanna.

 

Tra il 2008 e il 2015 la situazione dei rating per le banche italiane si è di fatto capovolta. Sette anni fa: tutti gli istituti avevano un rating da BBB- in su. Quindi uguale o superiore a investment grade, ossia il livello considerato meritevole di investimento. Oggi si collocano da questo livello in giù: 11 hanno un giudizio sulla soglia BBB-, mentre ben 13 sono considerate “speculative” o “spazzatura” (quindi da BB+ a B+). Certo, molto ha fatto la dinamica del debito sovrano, tagliato ormai da qualche tempo a BBB-. La regola per le agenzie di rating è che il giudizio sul merito di credito di una società (ossia il giudizio sul grado di solvibilità della banca in relazione alla sua capacità di ripagare i prestiti obbligazionari) non possa essere migliore di quello del Paese sovrano dove risiede. Se non migliora l’Italia, quindi, non possono migliorare neanche le banche.

 

Un cambiamento di scenario netto, legato come detto anche alla situazione del rischio paese, che solo pochi altri paesi hanno sperimentato in Europa. Se in Spagna la transizione dal 2008 al 2015 è stata anche peggiore, la situazione è poi migliorata proprio grazie al varo tempestivo della bad bank. Il risultato è che, sebbene il sistema italiano sia in media uno dei più patrimonializzati e quindi "sicuri" d'Europa, per S&P il sistema bancario italiano è al momento più rischioso di quello spagnolo, brasiliano e ovviamente francese, tedesco e britannico (secondo una matrice che mette a sistema sia il rischio economico sia del settore). Dobbiamo aspettarci altri dolorosi "bail-in" (salvataggio interno)? "Le quattro banche fallite erano in una situazione molto grave – ha detto al Foglio Sanna – se oggi dovesse succedere qualcosa di simile l'impatto sarebbe sicuramente maggiore. Ci sono banche piccole che non seguiamo perché non hanno un nostro rating che hanno problemi da risolvere, tra le banche che hanno un rating nessuna è in amministrazione controllata. Si tratta chiaramente di un terreno in cui ci sono aspetti imprevedibili, bisogna vedere se non emergono altri problemi e come va l'economia".

 

[**Video_box_2**]Tra quando sono fallite Banca Etruria, CariFerrara, CariChieti e Banca Marche e oggi esiste già un’importante differenza. Da gennaio 2016, quindi da due settimane, sono entrate in vigore le nuove norme europee sulle risoluzioni bancarie che prevedono condizioni ancora più stringenti in caso di fallimento di una banca europea, che arrivano potenzialmente a coinvolgere anche i conti correnti sopra i 100mila euro. Inoltre, in questo scenario, il supporto dei governi europei alle banche, incluso quello italiano, è ora incerto e meno prevedibile. "Se tutto il sistema bancario europeo, attraverso la Brrd, è d'accordo che i creditori devono partecipare alla perdite, rimane poco spazio per le interpretazioni" spiega Sanna. "Non diciamo che il supporto del Governo non ci sarà mai ma solo che oggi è incerto, non è prevedibile, dovremo vedere ogni volta cosa succederà quando le crisi si realizzeranno".

 

La buona notizia è che l’agenzia di rating ritiene probabile che le cose possano andare meglio. "Vediamo dei trend positivi – ha detto Sanna – sia per ripresa manifestata nel 2015 che comporterà un graduale assestamento della qualità del credito sia grazie all'accesso a capitale a costi molto più bassi rispetto al passato". Ma niente colpi di testa: “Anche se riteniamo che  un ambiente operativo più benevolo genererà dei miglioramenti nella qualità degli asset delle banche e nella loro redditività  – precisa S&P in una nota – è improbabile che questo dia luogo da solo a un largo numero di azioni positive sui rating delle banche italiane”.

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