Il ceo di Deutsche Bank, John Cryan

Little Germany

Deutsche Bank rivede le sue ambizioni globali e si rifugia nel fortino tedesco

Alberto Brambilla
L’ad Cryan conferma tagli al personale, la ritirata da 10 paesi e sospende i dividendi. L’Europa senza “big bank”?

Roma. Deutsche Bank, prima banca tedesca, ha confermato una drastica riorganizzazione del gruppo a livello globale centrata sul taglio dei costi, del personale, le dismissioni (Postbank e la cinese Hua Xia Bank), la riduzione del perimetro di attività e – per la prima volta in cinquant’anni – la sospensione dei dividendi agli azionisti, in maggioranza tedeschi, fino al 2017. La banca ha registrato perdite nel terzo trimestre per 6 miliardi di euro, un record negativo, a causa di “svalutazione di avviamenti e altre attività immateriali”. E’ un bagno di realtà per Deutsche Bank che licenzierà 35.000 dipendenti (9.000 a tempo pieno, 6.000 esterni, 20.000 posizioni in società in via di dismissione) e si ritirerà da dieci paesi (Argentina, Cile, Messico, Perù, Uruguay, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Malta e Nuova Zelanda) entro il 2020. La banca ha smentito le “speculazioni giornalistiche” sul ridimensionamento delle attività retail in Italia, secondo mercato dopo quello tedesco con 300 filiali, in seguito alla rivelazione di alcune fonti interne all’istituto che descrivevano l’Italia come “non più strategica”. Il ceo John Cryan, inglese e membro del consiglio di sorveglianza di Deutsche Bank dal 2013, è stato chiamato a guidare la riorganizzazione a giugno sostituendo gli ex co-ceo Anshu Jain e Jürgen Fitschen, travolti dallo scandalo della manipolazione del Libor foriero di multe miliardarie. Cryan è il volto “nuovo” di una ristrutturazione già preventivata ma complicata da un ambiente regolatorio cangiante.  Cryan riduce il perimetro della banca e mette al centro la Germania “il mercato più importante”, smentendo così chi gli aveva prematuramente affidato l’eredità del compianto Alfred Herrhausen, ucciso nel 1989.

 

Alfred Herrhausen è stato presidente di Deutsche Bank fino alla fine della Guerra fredda. Aveva l’ambizione di fare della banca tedesca un ponte tra l’occidente e l’est europeo, forte anche oltreoceano, prima di venire assassinato in un sofisticato attentato dinamitardo tre settimane dopo il crollo del Muro di Berlino. L’omicidio, avvenuto mentre Wolfgang Schäuble era ministro dell’Interno, è stato inizialmente attribuito all’organizzazione di estrema sinistra Rote Armee Fraktion ma è rimasto senza colpevoli assicurati alla giustizia. La sfida di Herrhausen – andare oltre il modello renano e sfondare nella finanza globale – è la stessa che il Financial Times, giornale dell’establishment british, aveva idealmente addossato a Cryan, inglese di nascita, il giorno dopo la sua nomina a ceo. Troppa fretta. Deutsche Bank non è la sola banca d’investimento europea a dovere riconsiderare le sue ambizioni. Insieme alla svizzera Credit Suisse è tra le dieci peggiori banche d’investimento globali degli ultimi cinque anni, secondo Bloomberg. E al pari delle inglesi Barclays e Standard Chartered e della francese Bnp Paribas stanno restringendo le operazioni. Gli istituti europei stanno riscontrando sostanziali difficoltà ad adattarsi ai requisiti di capitale comandati dai regolatori continentali in un contesto di tassi d’interesse ai minimi storici e scarse opportunità di profitto vista la ripresa anemica.

 

[**Video_box_2**]Un clima che limiterà anche la possibilità di aggregazioni tra grandi player del credito che unendosi dovrebbero soddisfare requisiti ben più stringenti degli attuali in termini, ad esempio, di patrimonializzazione. Deutsche Bank invero è stata trattata con i guanti bianchi dalla Banca centrale europea durante gli stress test dell’anno scorso: nel calcolo dei rischi non si è tenuto conto dell’esposizione su titoli derivati di cui la banca è ingolfata. Una fiducia forse mal riposta viste le leggerezze del management, con risvolti a volte grotteschi: dall’avere lasciato credere a degli investitori di essere la Bundesbank, cioè la granitica Banca centrale tedesca, all’incauto trasferimento miliardario da parte di un giovane trader a un cliente oltreoceano. I regolatori americani e inglesi invece non concedono deroghe alla corretta gestione; lo testimoniano le multe e le pendenze legali per il coinvolgimento nello scandalo Libor. Se le grandi banche europee, a sette anni dall’inizio della crisi, sono nel mezzo della tempesta, le concorrenti americane stanno prendendo vantaggio sotto molti punti di vista: si sono ristrutturate più rapidamente, i guadagni sono ai livelli pre-crisi, i bilanci sono solidi e l’economia sottostante è molto più vivace. L’America avanza, dunque, con buona pace delle voglie di conquista europee.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.