Vita oltre l'Imu

Renzo Rosati
L’Italia s’azzuffa sulle tasse ma delle relative virtù bancarie da rivendicare in Ue non si parla

Roma. L’Italia è seconda in Europa nelle tasse alle imprese. E ultima negli aiuti di stato alle banche. Prima, però, nel togliere, rimettere, aumentare, modificare le imposte sugli immobili; così come nell’abbassare o alzare il tetto al contante. Ovvero: queste sono le partite “hard” di potere economico giocate negli ultimi anni nei paesi europei rispetto a quelle – molto politiche e molto mediatiche, certo – andate in scena da noi. Il dato sulla corporate tax, somma di Ires e Irap italiane, è tornato sotto i riflettori con le accuse sulla legittimità del “tax ruling”, accordi fiscali personalizzati, che il governo del Lussemburgo ha stipulato con Fiat Chrysler Finance e quello olandese con Starbucks, ulteriore vantaggio rispetto al già favorevole trattamento dei due paesi (ieri l’Antitrust europeo ha condannato Fcf a rimborsare 20 milioni).

 

Ebbene, secondo l’ultima indagine di Kpmg l’Italia ha oggi le più alte imposte dirette sulle aziende dopo la Francia: il 31,4 per cento rispetto al 29,6 tedesco, al 28 spagnolo, al 25 olandese, al 20 inglese e finlandese, al 19 polacco, al 12,5 irlandese. Tralasciando il 15 per cento della Lettonia e il 10 della Bulgaria. Se poi si aggiunge a questo il costo del lavoro, l’Italia diventa maglia nera, con oltre il 60 per cento, come rilevato da Eurostat e dalla Confindustria.

 

La maglia da nera si fa invece immacolata guardando a quanto è accaduto dal 2007 in campo bancario. I dati li ha forniti Fabio Panetta, vicedirettore generale della Banca d’Italia. “Se in Italia fossero stati effettuati interventi di salvataggio in rapporto al pil pari a quelli della Germania, l’onere per le finanze pubbliche sarebbe stato di 133 miliardi”. All’inizio del decennio, infatti, il governo tedesco ha iniettato nel capitale delle banche l’8,2 per cento del prodotto lordo, quelli spagnolo e olandese il 5, irlandesi e greci il 22 per cento.

 

[**Video_box_2**]Uno studio R&S-Mediobanca quantifica  poi in 2.700 miliardi di euro gli aiuti pubblici erogati a 437 banche europee: su tutti i 1.200 miliardi della Gran Bretagna. In queste somme vengono però conteggiate anche le garanzie statali alle emissioni obbligazionarie (l’Italia vi ha impegnato 123 miliardi, un quarto della Germania). Tornando ai capitali materialmente stornati dal bilancio dello stato, restano per noi i 7 miliardi di Tremonti e Monti bond concessi tra il 2009 e il 2012 al Monte dei Paschi e in misura minore a Banco popolare, Bpm e Credito valtellinese. Tutti restituiti con interessi fino al 9 per cento, e un guadagno pubblico di un miliardo per il solo Mps. Ma ricordate su che cosa si sbizzarrirono talk-show e giornali di ogni orientamento in quel gennaio 2013? “Monti usa i soldi dell’Imu per salvare la banca rossa!”, era il leitmotiv; con Beppe Grillo a chiedere un’immediata commissione d’inchiesta. Nel 2012 il governo montiano aveva infatti reintrodotto esattamente per 4 miliardi, pari al prestito a Mps, la tassa sulla prima casa: già cancellata dal centrodestra, poi rimossa dal cacciavite lettiano, ricomparsa nel 2015 sotto forma di Tasi, ora ri-abolita dal prossimo gennaio da Matteo Renzi. Proprio come l’allarme democratico e pop-mediatico si è concentrato sui contanti: 12.500 euro con il Cav. 5 mila con Romano Prodi, mille con Monti, 3 mila con Renzi. Impatto immediato, interesse giustificato, ovvio. Però… Però intanto nel resto della zona euro e dell’Unione europea si giocava su altri tavoli. Nel 2010 l’Irlanda allora in piena crisi e soggetta agli aiuti europei rifiutò di alzare le tasse sulle imprese; ora nel budget 2016 annuncia il dimezzamento al 6,5 per cento sugli introiti da brevetti e ricerca. Il Regno Unito ridurrà l’aliquota dal 20 al 18 per cento. La Spagna intende scendere al 25. La Germania ha ridotto il prelievo nel 2011. Invece, Italia virtuosa sulle banche; molto meno per gli oneri sulle imprese, soltanto di poco alleggeriti dal primo sgravio Irap (il taglio dell’Ires è per ora una promessa). Anche la manica larga praticata altrove nei salvataggi bancari, però, può essere vista in altro modo: infatti il credito arriva più rapidamente alle aziende e alle famiglie, intanto che qui segna il passo la “bad bank” progettata da Bankitalia e da Pier Carlo Padoan per liberare gli istituti dai crediti incagliati e fare girare il denaro. Idea che (strano) Bruxelles accusa ora di aiuto di stato. Ma l’Italia continua a battibeccare sulla Tasi e su quanti biglietti da cinquanta si possano avere nel portafoglio. Ieri sera, a questo proposito, Renzi ha detto di essere pronto a mettere la fiducia sull’aumento del tetto all’utilizzo del contante a tremila euro. Sul resto, interesse un po’ scarso.

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