Idee costruttive per far fruttare ancora di più l'abolizione dell'Imu

Giorgio Spaziani Testa
Il presidente di Confedilizia chiede di diminuire l’imposizione locale sulle case affittate

Al direttore - La decisione del presidente del Consiglio di eliminare la tassazione sull’abitazione principale continua ad alimentare un dibattito di idee molto vivace. Il Foglio di ieri, in particolare, era pieno di spunti di interesse.

 

Il consigliere comunale milanese dei Radicali, Marco Cappato, teme che la scelta di compensare il taglio di Imu e Tasi sulla prima casa attraverso trasferimenti statali porti alla eliminazione di “quel minimo di collegamento tra tassazione e territorio”. Propone, quindi, l’istituzione di una local tax con attribuzione di “piena capacità impositiva ai Comuni proprio sulla prima casa”.

 

In effetti, un’imposizione locale moderna dovrebbe fondarsi sul collegamento con il territorio e quindi con i servizi forniti dall’ente locale al cittadino contribuente. Dovrebbe esservi, come diceva la legge delega sul federalismo fiscale, una “correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa”. Tuttavia, né l’Imu né la Tasi raggiungono questo obiettivo, trattandosi di mere imposte patrimoniali (la Tasi ha solo una parvenza di rapporto con i servizi, l’Imu neppure quella).

 

Una vera service tax, invece, dovrebbe: a) realizzare un effettivo, concreto e controllabile collegamento fra tributo versato dal contribuente e quantità e qualità dei servizi ricevuti dallo stesso contribuente; b) essere a carico del fruitore di tali servizi e, quindi, non del proprietario dell’immobile in quanto tale, bensì dell’utente dello stesso, e cioè di chi lo occupa (in caso di locazione, dunque, dell’inquilino), come avviene, ad esempio, con la Council tax britannica. Solo in questo modo può aversi, soprattutto sul fronte della spesa, quella responsabilizzazione degli enti locali che è connaturata a qualsiasi forma di reale federalismo.

 

In attesa di riforme così ambiziose, la scelta del governo Renzi di iniziare a ridurre le imposte locali sugli immobili – quasi triplicate in pochi anni (il loro gettito è passato da 9 a 25 miliardi di euro) – è sacrosanta. Ed è tanto più apprezzabile per le ragioni con cui il presidente del Consiglio la supporta, che sono quelle – oltre che del rilancio del settore immobiliare e del suo infinito indotto – dell’iniezione di fiducia nei confronti dei tanti italiani che hanno scelto di impiegare nel mattone i frutti del proprio lavoro (già ampiamente tassati al momento della percezione del reddito, sia detto per inciso), con conseguente stimolo ai consumi. Una decisione giusta che non diventa meno nobile se viene ritenuta “pop”, come ci fa notare l’economista Eugenio Somaini, sempre sul Foglio di ieri, con argomenti molto suggestivi circa gli effetti economici delle decisioni politiche.

 

[**Video_box_2**]C’è poi il tema delle pressioni europee. La fermezza del leader dell’esecutivo – ribadita ieri alla Camera dei Deputati – nel difendere, nei confronti dell’Unione europea, l’autonomia delle decisioni del governo italiano in materia di riduzione delle tasse sulla casa, è confortante. Così come lo è la conferma che la scelta riguarda tutti i contribuenti. Al presidente Renzi chiediamo però uno sforzo in più: una diminuzione dell’imposizione locale sulle case affittate. Riservando alla locazione poche decine di milioni di euro (lo 0,3 per cento dei circa 27 miliardi della manovra programmata per l’autunno), si potrebbe dare vita a un formidabile circolo virtuoso fatto di maggiore mobilità delle forze del lavoro, di aumento della fiducia nei risparmiatori dell’immobiliare, di attivazione di interventi di recupero edilizio, di soluzione di problemi abitativi soprattutto per le giovani coppie. Basta poco, perché non farlo?

 

Giorgio Spaziani Testa è Presidente di Confedilizia

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