Lo scetticismo di S&P's sulla ripresa italiana? Tesi e antitesi

Elena Bonanni
Intervista a Jean-Michel Six, capo economista per l'Europa dell'agenzia di rating americana che al momento rimane più scettica sull'effetto Renzi.

L'Italia è uscita dalla recessione ma la ripresa, per ritmo e vigore, esce sconfitta dal confronto con la ripartenza delle altre maggiori economie europee, a cominciare dalla Spagna. La diagnosi è arrivata qualche giorno fa da Standard & Poor's che in uno studio ha rilevato come i consumi siano rimasti al palo, nonostante i benefici della riduzione della bolletta energetica, la produttività sia ai livelli di un decennio fa e l'export sia cresciuto ma meno che altrove. Risultato: "Sarà molto lunga la strada per tornare a tassi di crescita del pil anche solo superiori all'1,5 per cento", un livello che invece è previsto già nel 2016 sia nella stima del Def del governo (più 1,6 per cento) sia in quella di Confindustria (più 1,5). Perché tanto pessimismo? Dopotutto, dopo averci abituato a una serie che sembrava senza fine di revisioni al ribasso, i dati sul pil stanno invece iniziando a sorprenderci in positivo. E anche il Fondo monetario internazionale due giorni fa ha ritoccato leggermente al rialzo le previsioni di crescita per l'Italia – a più 0,8 per cento nel 2015 e più 1,3 nel 2016 – affermando che il paese sperimenta una "crescita più forte del previsto" e, attraverso le parole del suo economista Thomas Helbling, che nel medio termine può fare di più, anche meglio della Germania.

 

"Vi è da chiedersi se il pessimismo di S&P's sia giustificato oppure sia frutto di un pregiudizio, magari una sorta di estrapolazione delle difficoltà di crescita passate del BelPaese", ha commentato l'economista Giovanni Ferri dalla testata FIRSTonline.info, definendo "esagerato" il pessimismo della grande sorella dei rating (che con le sue "pagelle" sul merito di credito sentenzia sull'affidabilità di Paesi e società). Tre sono le argomentazioni principali della critica di Ferri: 1) è difficile prevedere come la dinamica macroeconomica di un paese risponda a riforme importanti, e questo lo dimostra quello che è successo in Germania con la riforma Hartz; 2) concentrarsi, come fa S&P's, solo sulla dinamica dei consumi e dell’export può essere fuorviante nel confronto tra Italia e Spagna; 3) la crescita di un paese dipende anche dalle politiche fiscali messe in atto.

 

Argomentazioni che il Foglio ha voluto mettere sul tavolo di un confronto con il managing director e capo economista per l'Europa di Standard & Poor's, Jean-Michel Six, a Milano al Four Seasons Hotel per il convegno “Il ruolo della politica industriale per una crescita sostenibile in Italia” organizzato dalla stessa S&P's. "Capire l'impatto delle riforme è sempre un esercizio difficile", ha ammesso Six. E' noto che prima della riforma Hartz le previsioni di crescita erano mediamente negative sia in Germania sia in Italia: si tendeva a prevedere più crescita di quella che si sarebbe effettivamente realizzata. La situazione è cambiata dal 2003 dopo la riforma del lavoro Hartz, a cui si ispira pur con differenze il nostro Jobs Act. Per lo stesso Six però il paragone con le riforme tedesche può essere "fuorviante": "Quella tedesca fu una riforma fatta in un tempo in cui la situazione economica era migliore, più favorevole alla crescita. Prima della crisi le riforme erano più facili da implementare, rispetto a una situazione in cui l'economia è debole". E', per così dire, una questione di muscoli e  tempi di reazione. "L'Italia sta uscendo da tre anni e mezzo di continua recessione – continua Six – E' stata una recessione molto lunga durante la quale gli investimenti si sono contratti. L'ammontare di capitale totale si è ridotto e per questo è minore anche la capacità di reagire a riforme positive. E' un po' come se a un malato somministri una forte medicina, la capacità di reagire e uscire a correre rimane limitata, perché il corpo è debole. E questo spiega il perché della nostra opinione più pessimista sulla ripresa rispetto ad altri paesi".

 

[**Video_box_2**]Eppure, un paese non si riduce solo a consumi ed export. In Italia al contrario la disoccupazione è al 12 per cento, quasi la metà di quella spagnola, e questo vorrà pur dire qualcosa rispetto all'andamento dei consumi. "Anche questo è un punto giusto, non ho grandi contestazioni ma mi baso sui numeri – risponde al Foglio Six – Il fatto è che il balzo della domanda di consumi in Spagna è stato vigoroso e ha a che fare con il ritorno della fiducia dei consumatori che è una profezia che si autoavvera, si crea un sentimento positivo. Questo sta prendendo più tempo in Italia. Dove è vero che la fiducia sta migliorando ma in modo meno spettacolare che in Spagna. Nel primo e nel secondo trimestre nelle economie dell'Eurozona il balzo della ripresa è stato ovunque guidato dalla domanda dei consumatori". Un nodo, anche psicologico. In questo quadro eliminare le tasse sulla casa, come deciso dal governo, potrebbe quindi fornire la spinta giusta. "Altri paesi l'hanno fatto, è una misura che è stata testata e ha creato un po' di effetto positivo sulla fiducia dei consumatori", ha commentato Six. Sulla domanda dei consumatori incidono infine anche le politiche fiscali. Madrid gode a questo proposito di un maggiore lassismo fiscale, visto il suo rapporto deficit/pil maggiore di quello italiano? "Tutti i paesi hanno beneficiato di una politica accomodante dopo il programma Omt della Bce, non solo la Spagna - ha controbattuto Six - abbiamo visto una riduzione dei rendimenti sovrani e anche l'Italia ne ha beneficiato".

 

Dall'estero, insomma, continuano a vedere il bicchiere mezzo vuoto: l'Italia è debole, ha pochi muscoli, è la diagnosi confermata da Six, nonostante i migliori energy drink, ripartirà più lenta di altri. Ma anche le agenzie di rating, ogni tanto, e secondo alcuni spesso, sbagliano.