I guai di volare in Italia

Alberto Brambilla
Alitalia va in affanno tra risultati no, low cost e Fiumicino, ma anche Etihad non si sente tanto bene

Roma. Solo i più ottimisti potevano pensare che il salvataggio di Alitalia da parte dell’emiratina Etihad avrebbe prodotto risultati operativi degni delle più alte aspettative in un solo anno di lavoro. La strategia di rilancio della compagnia aerea italiana annunciata l’8 agosto 2014, giorno dall’accordo ufficiale, è tuttora incompleta e non priva di rischi, derivanti soprattutto dalle criticità riscontrate in Italia. Venerdì scorso Alitalia ha comunicato le avvenute dimissioni dell’amministratore delegato Silvano Cassano, ex manager del gruppo Benetton, ufficialmente per “motivi personali”. In realtà perché era considerato dagli azionisti e dalle banche creditrici inadeguato a migliorare sensibilmente la performance in tempi congrui affinché l’azienda potesse tornare al profitto nel 2017, come da piano industriale. Cassano è durato in carica nove mesi, può essere ricordato come il più effimero manager alla cloche della compagnia tricolore sia nell’epoca della gestione pubblica sia in quella post privatizzazione iniziata nel 2008. Le dimissioni spintanee scaturiscono da risultati non promettenti per il futuro e dall’impressione diffusa nel cda che non sia ancora palpabile l’inversione di tendenza promessa da James Hogan, vicepresidente di Alitalia e prim’ancora ceo di Etihad, che appunto indicò Cassano per il ruolo apicale. L’interim, fino all’arrivo di un nuovo manager, forse straniero e con esperienza nell’aviazione, è affidato al presidente di Alitalia Luca di Montezemolo, figura di raccordo tra Italia e Abu Dhabi, che finora era stato tenuto ai margini nelle scelte operative e di marketing. Nei primi sei mesi del 2015 Alitalia ha comunicato una perdita di 130 milioni di euro, quasi un sesto rispetto al totale dell’anno precedente, e in linea con le aspettative. Ma nel frattempo ha anche perso ricavi: stime ufficiose nel settore dicono del 25-30 per cento in meno rispetto a un anno prima. Quindi Alitalia perde meno ma guadagna troppo poco per non cambiare nulla se l’obiettivo deve essere il ritorno alla profittabilità entro due anni.

 

Fare utili è un obiettivo ambizioso per qualsiasi compagnia aerea di media stazza e particolarmente lusinghiero per Alitalia, visto il passato (dalla nascita della compagnia pubblica nel 1974, 20 bilanci su 29 hanno chiuso in “rosso”; quando è andata bene bisogna ringraziare Pantalone). Alla fine dell’anno non è escluso che le perdite possano toccare i 250 milioni di euro almeno, secondo più fonti nel settore. In caso non sarebbe da escludere la possibilità di una ricapitalizzazione. Il tema non è sul tavolo del cda. Ma è improbabile che i soci italiani, tra cui Intesa Sanpaolo, Unicredit e Atlantia dei Benetton, siano disponibili ad aderire. Neanche Etihad, pur carica di petrodollari dell’emirato di Abu Dhabi, potrebbe sottoscrivere un aumento in quanto deve mantenere la sua quota azionaria sotto la soglia di maggioranza, quindi stabile com’è al 49 per cento, per evitare di esercitare un “controllo di fatto” su un’azienda europea; cosa vietata dalle regole comunitarie a una società extra-continentale. Sono possibili nuove emissioni obbligazionarie per superare l’ostacolo ma i problemi strutturali nascono e si acuiscono a Fiumicino. La Aeroporti di Roma (Adr), di proprietà dei Benetton, gestisce lo scalo Leonardo da Vinci della Capitale con una strategia non ancora in sintonia con le necessità di Alitalia che vorrebbe farne un hub di collegamento tra Abu Dhabi e le destinazioni occidentali. Al di là dei danni derivanti dall’incendio al Terminal intercontinentale a maggio, Fiumicino, sostengono molti osservatori, avrebbe bisogno di un efficientamento di arrivi e partenze (i tempi di latenza dei voli sono anche doppi rispetto alla media), di un migliore servizio e di collegamenti rapidi su rotaia con Roma e altre città d’interesse turistico. Per ora, invece, Fiumicino contribuisce a sottrarre traffico ad Alitalia, la quale ha una strategia di prezzi tuttora ondivaga, con tariffe prima in aumento e poi, più di recente, in flessione per cercare di fare concorrenza alle low cost.

 

[**Video_box_2**]La penetrazione a Fiumicino, unico aeroporto in Italia con più di 35 milioni di passeggeri, da parte delle low cost Ryanair, Easyjet e Vueling, stride appunto con la necessità di Alitalia di portare il traffico di passeggeri negli altri aeroporti europei per poi alimentare i voli di Etihad o delle compagnie sue partner. La strategia degli emiratini di comprare quote azionarie in alcune compagnie europee periclitanti per sostenere così la sua rete globale di voli e di destinazioni rischia così di essere messa prematuramente in discussione.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.