Papa Francesco (foto LaPresse)

Vizi culturali e scivoloni fattuali dietro le critiche del Papa al mercato

Luciano Capone

“Da un punto di vista empirico, non c’è alcuna correlazione tra l’intensità del capitalismo e la povertà. Il problema non è il capitalismo, ma la sua assenza”. L'economista venezuelano Hausmann elogia la complessità economica, poi mette in luce le influenze “marxiste e rivoluzionarie” sui gesuiti latinoamericani.

Milano. “Ho molto rispetto per il Papa e per i suoi obiettivi, ma sulla povertà semplicemente suggerisce la diagnosi e la cura sbagliata. Il problema non è il capitalismo, ma la sua assenza”. Ricardo Hausmann è direttore del Center for International Development alla Kennedy School of Government di Harvard, dove ha anche una cattedra sullo Sviluppo economico, praticamente i problemi economici dei paesi poveri sono il suo pane quotidiano. Si riferisce alle parole pronunciate da Papa Francesco nel suo viaggio di luglio in America Latina – la stessa terra di origine dei due, argentino il pontefice e venezuelano l’economista – e in particolare al discorso tenuto a Santa Cruz, in Bolivia: “Sappiamo riconoscere che tale sistema ha imposto la logica del profitto ad ogni costo, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura? – ha chiesto retoricamente il Papa – Questo sistema non regge più, non lo sopportano i contadini, i lavoratori, le comunità, i villaggi. E non lo sopporta più la Terra”.

 

Hausmann condivide con il Pontefice la preoccupazione per la miseria diffusa in molte aree del mondo – “penso che sia il principale problema sociale da affrontare” – ma nella sua intervista con il Foglio spiega perché Francesco sbaglia a prendersela con l’economia di mercato: “Ha ragione a preoccuparsi per gli ultimi, ma se guardiamo la questione da una prospettiva più ampia si vede che la povertà era molto più generalizzata prima dell’avvento del capitalismo e che oggi è molto più intensa nei paesi dove il capitalismo è meno presente. E al contrario c’è più ricchezza dove i mercati sono più integrati. Da un punto di vista empirico, non c’è alcuna correlazione tra l’intensità del capitalismo e la povertà”. Non è l’unica contestazione empirica alle affermazioni di Bergoglio sul capitalismo, un’altra è quella sul riferimento alla disoccupazione tecnologica contenuta nell’enciclica Laudato si’ (“L’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine”): “La storia ci dice che il progresso tecnologico è andato mano nella mano con l’aumento della produttività e dei redditi reali. Non c’è un paese in cui lo sviluppo tecnologico abbia aumentato la quota di poveri”.

 

Sembra di capire che le posizioni del Papa nei confronti del libero mercato abbiano a che fare più con una visione del mondo e dell’uomo che con i dati e i grafici, che sono gli attrezzi degli economisti. Ma ad Hausmann, che è un sudamericano e un intellettuale che cita spesso scrittori e filosofi, si può chiedere se le idee economiche di Bergoglio non dipendano da una visione culturale egemone in Sudamerica, dove capitalismo è sinonimo di colonialismo, sfruttamento e impoverimento: “Penso che il Papa sia cresciuto in un periodo in cui l’ideologia dominante era influenzata dalla Guerra fredda, dal marxismo e altre teorie rivoluzionarie, che hanno avuto un forte impatto sul movimento gesuita in America Latina – risponde Hausmann – E le idee del Papa riflettono in parte quell’ideologia”.

 

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Per restare nel campo del movimento gesuita, nello stesso viaggio – quando ha visitato il Paraguay – il Papa ha elogiato le “Reducciónes” gesuite paraguayane del 1600 come “una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione  sociale della storia. In esse il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’erano fame, disoccupazione, analfabetismo né oppressione”. Le Riduzioni erano delle piccole comunità fondate dai missionari gesuiti per evangelizzare gli indios, economicamente organizzate su base autarchica e collettivista, con pochissimi scambi con l’esterno e senza proprietà privata. Sarebbe un modello sostenibile e utile nella lotta alla povertà? “Quello era un sistema di produzione di sussistenza. Come si potrebbero produrre oggi occhiali, computer e macchine in piccole comunità autosufficienti? – dice l’economista venezuelano – Indicami un posto dove oggi c’è l’agricoltura di sussistenza e lì troverai un posto povero”.
Nei suoi studi Hausmann mostra come sia la complessità economica, intesa come specializzazione, diversificazione e integrazione dei mercati, a portare benessere e crescita economica: “C’è bisogno di catene del valore molto complesse, network articolati di differenti unità di produzione specializzate che scambiano beni e informazioni tra di loro. E questo può avvenire solo nelle economie di mercato”.

 

Come esempi di paesi che hanno fatto il percorso inverso Hausmann cita proprio il suo paese di origine, il Venezuela, e quello del papa, l’Argentina, nazioni molto ricche verso le quali a inizio secolo sono emigrati molti italiani e che ora hanno enormi problemi economici: “Il Venezuela e l’Argentina sono forse casi di capitalismo desenfrenado? Al massimo lo sono Hong Kong e Singapore, che non mi pare siano paesi poveri. Argentina e Venezuela sono esempi di paesi nemici del mercato che per questo hanno pagato un prezzo alto e ora mostrano il fallimento di quell’interventismo che Papa Francesco chiede”.

 

Secondo Hausmann, la descrizione del problema della povertà del papa è viziata dalle ideologie anti-mercato di destra e sinistra, peronismo e marxismo, dominanti in America Latina nel dopoguerra: “Il mercato invece è un sistema in cui tutti cercano di vivere facendo cose che altre persone vogliono e ritengono utili”. E conclude facendo l’esempio del continente più sofferente: “L’Africa è povera, ma non per il libero commercio. Produce cotone ma non lo può esportare nei mercati protetti di Stati Uniti ed Europa: non penso che se potesse entrare in questi mercati sarebbe un male per gli africani. Se il problema da risolvere è la povertà, mi piacerebbe sentir dire dal Papa che è moralmente sbagliato restringere il mercato”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali