Vincent Bollorè (foto LaPresse)

Le nuove avventure ferroviarie di Bolloré nell'Afrique noire

Ugo Bertone

Il finanziere bretone vuole collegare cinque paesi depressi e difficili. Un’impresa abbandonata un secolo fa

Milano. “Bisogna muoversi come un commando, non come un esercito regolare. Non si perde tempo in discussioni, ma si agisce. Come dicono gli Americani: ‘we try, we fail, we fix’. Ovvero ci proviamo, cadiamo giù, ripartiamo. Come un branco di pesci che si muove, sembra disperdersi ma si riorganizza con una sua logica”. Parola di Vincent Bolloré, vicepresidente di Mediobanca e socio forte di Telecom Italia.

 

Per carità, non è la strategia suggerita al presicente del Consiglio, Matteo Renzi, nella visita che il finanziere bretone ha fatto a Palazzo Chigi giovedì sera, proprio dopo l’annuncio del Consiglio dei ministri sul piano banda ultralarga. No, monsieur Bolloré – un patrimonio di 11 miliardi di euro investito in attività che spaziano dal mondo dei media alle auto elettriche, passando da telecomunicazioni e pubblicità – trova anche il tempo e la voglia per non scordare il primo amore di famiglia: l’Afrique noire, dove i suoi antenati marinai hanno trafficato fin dai primi dell’Ottocento. Tra piantagioni, miniere, navi e profitti spesso politically uncorrect.

 

Anzi, tra un acquisto di titoli Telecom (e Telefonica) e un contatto con Rupert Murdoch, monsieur Bolloré ha pianificato un’impresa degna di Fitzcarraldo: costruire una rete ferroviaria lunga 3 mila chilometri che colleghi Cotonou (Bénin) a Lomé (Togo), passando per Niamey, capitale del Niger, per poi far rotta su Ouagadougou nel Burkina Faso e chiudere infine il viaggio ad Abidjan, in Costa d’Avorio. Insomma, cinque paesi tra i più poveri del mondo, assediati dalla sabbia del Sahara che avanza ma anche dai ribelli islamici del Mali o, peggio ancora, dal regno del terrore di Boko Haram che grava sul colosso nigeriano.

 

Una missione davvero impossibile, dal costo smisurato, progettata nel 1903 e abbandonata, a metà dell’opera, nel 1935.
Un’impresa titanica anche perché, su richiesta del Fondo monetario internazionale, attorno al 1990 le ferrovie vennero abbandonate al loro destino. Finché all’orizzonte non è comparso Bolloré il quale, per ora, ci ha investito 2,5 miliardi di euro; cifra senz’altro destinata a salire una volta firmati gli impegni con i paesi interessati. Poco più che una formalità per l’ex pupillo di Antoine Bernheim, la cui fortuna è assai più ingente del prodotto interno lordo del Bénin che si ferma a 8,7 miliardi di dollari.
Ma in quei paesi turbolenti – dove sono in programma quattro elezioni politiche di qui al 2016 – l’importante è muoversi come un commando, senza perdersi in troppe formalità. E così il marinaio bretone si è sobbarcato negli ultimi sei mesi tre cerimonie ufficiali, taglio del nastro incluso, con il presidente del Bénin, Thomas Boni Yayi, e il primo cittadino del Niger, Mahamadou Issoufou. L’occasione? L’inaugurazione della stazione ferroviaria, rimessa a nuovo dopo una lunga stagione d’abbandono. O, ancor più popolare, l’apertura della Bluezone di Zongo nel centro di Cotonou: un centro per i giovani con tanto di cinema, campo di basket e teatro, più galleria d’arte e, preziosissimo, un cyber café dotato di banda larga. Ma l’entusiasmo della Françafrique è esploso quando sui binari sono apparsi quattro vagoni ferroviari riverniciati con i colori della premiata ditta Bolloré che, in attesa che si completi l’opera, per ora serviranno da tram tra il centro e la periferia di Cotonou.
Intanto, tanto per dimostrare che si fa sul serio, Bolloré ha lasciato sul posto due luogotenenti di grande rispetto: Michel Roussin, già ai vertici dei servizi segreti francesi e capo di gabinetto di Jacques Chirac e Ange Mancini, corso purosangue, in passato numero uno del Raid, il reparto d’eccellenza della polizia transalpina, un passato sia con Nicolas Sarkozy che con il di lui successore all’Eliseo François Hollande.

 

[**Video_box_2**]No, non c’è nulla di pazzesco o di romantico nella sfida del finanziere in caso qualcuno se lo stesse chiedendo: la maison Bolloré è di gran lunga il più importante, spesso l’unico, gruppo logistico di questa regione sterminata e depressa ma che è comunque tra le più importanti del pianeta per le soft commodity, cacao in testa, e per tanti metalli strategici. E poi – come spiega lo stesso Bolloré al quotidiano francese Monde che sta dedicando un interminabile reportage a puntate all’impresa del finanziere amico di Nicolas Sarkozy – per aver successo occorre saper guardare avanti. “Quando ho preso il controllo dell’azienda di famiglia – spiega lui – la nostra attività principale, dal 160 anni, era la produzione di carta carbone. Mica si poteva tirare avanti con la carta carbone. Bisogna puntare sui paesi e sui settori in crisi. L’Africa presto non sarà più quella che, per pregiudizio, c’immaginiamo in occidente. E per noi, che siamo il quinto gruppo al mondo nella logistica, dobbiamo guardare avanti”. Il futuro, insomma, non si limita alla banda lunga o alla convergenza tra media e telecom. Ma la filosofia è la stessa: che si tratti di ricostruire una ferrovia in mezzo al deserto, dove spiccano le carcasse dei vagoni usciti dai binari per il peso eccessivo dei migranti a caccia di un passaggio nella fuga verso nord, oppure di aprire nuovi spazi di crescita per Vivendi, il colosso dei media di cui Bolloré è grande azionista. Anche l’Italia, a modo suo, è un grande (e non facile) campo di gara ove bisogna tener conto delle ambizioni di Palazzo Chigi e, di riflesso, di Andrea Guerra. Ma anche del nuovo competitor nato dalle nozze russo-cinesi tra Wind e 3Italia. Si agitano così le acque del settore, come piace a Bolloré, marinaio bretone, asso pigliatutto, dal carattere un po’ guascone.