Il ministro dell Finanze della Germania, Wolfgang Schaeuble, con il collega finlandese, Peter Kazimir (foto LaPresse)

Il voto dei creditori

Luciano Capone
La Grecia deve fare i conti con la democrazia di chi deve (davvero) sborsare i soldi. Una mappa

Milano. Dopo una votazione accompagnata da contestazioni di piazza e che è costata la spaccatura di Syriza e del governo greco, Alexis Tsipras è riuscito a far passare in Parlamento con una larghissima maggioranza (229 sì e 64 no) l’accordo con l’Europa. Ma oltre al debitore votano anche i creditori e, seppure in un’atmosfera meno tesa di quella di Atene, per molti governi non sarà semplicissimo fare passare il terzo salvataggio di Atene. La prima a pronunciarsi è stata la Francia: l’Assemblea nazionale ha approvato l’accordo con un’ampia maggioranza bipartisan (anche se i repubblicani all’opposizione si sono spaccati). La Germania, il capotreno della locomotiva franco-tedesca, voterà due volte: questa mattina per dare al governo il mandato per le negoziazioni sul salvataggio e successivamente quando ci sarà da approvare il piano definitivo. Non ci sono dubbi sul voto favorevole, visto che il governo di grande coalizione ha un’ampissima maggioranza, ma Angela Merkel rischia un po’ come Tsipras di avere defezioni dell’ala dura del suo partito, soprattutto ora che la prospettiva di una futura ristrutturazione del debito greco si fa più concreta. Voterà oggi anche il Parlamento austriaco dove il piano dovrebbe passare senza particolari problemi. La situazione è molto più complicata nei paesi del nord e dell’est Europa, dove la linea nei confronti della Grecia è più radicale di quella tedesca. Una posizione complicata è quella del governo slovacco, guidato dal socialdemocratico Robert Fico, uno dei falchi anti Atene, che nel 2011 quando era all’opposizione riuscì a far cadere il governo proprio sugli aiuti alla Grecia.

 

Memore di quelle vicende, il ministro delle Finanze, Peter Kazimir, ha fatto sapere che almeno in questa fase non ci sarà un voto parlamentare, ma basterà quello di una commissione parlamentare. Una procedura simile a quella finlandese, dove è una commissione ristretta di 25 parlamentari a dare il mandato al governo per avviare il negoziato finale con Atene. Ma anche in Finlandia il tema è molto caldo. Già nel 2011 Helsinki aveva preteso dalla Grecia come garanzia per il salvataggio il Partenone e alcune isole e la situazione oggi è ancora più complicata visto che al governo c’è anche il partito di destra dei Veri Finlandesi, da sempre contrari ad altri aiuti. Il loro leader, il ministro degli Esteri Timo Soini, alla fine giovedì si è convinto ad accettare il prestito ponte e l’avvio dei negoziati, ma ha definito la decisione come una scelta “tra la peste e il colera”. L’altro partner di governo, il ministro delle Finanze ed ex premier Alexander Stubb ha però già annunciato la contrarietà a qualsiasi haircut del debito. Nel fronte della linea dura ci sono anche le repubbliche baltiche, Estonia, Lettonia e Lituania, ultime entrate nell’euro dopo tanta austerity, le cui popolazioni dopo molti sacrifici non sono particolarmente entusiaste di dovere aiutare la più ricca Grecia.

 

[**Video_box_2**]In tutti e tre i paesi, anche per evitare lo scontro con le opposizioni e l’opinione pubblica, i governi dovrebbero approvare l’avvio dei negoziati senza passare per le Assemblee, ma i primi ministri baltici hanno già detto che in futuro non sarà semplice convincere i parlamenti. Alcuni governi che, come quello italiano, non hanno bisogno di un consenso parlamentare, hanno comunque deciso di presentarsi alle Camere: in Olanda i deputati hanno rosolato il ministro delle Finanze e presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e il premier Mark Rutte, che in campagna elettorale aveva promesso di non spendere più un centesimo per la Grecia. In Spagna Mariano Rajoy per stanare le opposizioni ha chiesto comunque un voto non obbligatorio e ha incassato il “sì” sia dei socialisti sia della sinistra radicale di Podemos. Non voteranno per ora Malta e la Slovenia, due piccoli paesi che però insieme a Estonia e Slovacchia sono i più esposti nei confronti della Grecia (oltre il 4 per cento del pil), che hanno fatto sapere di essere, come tanti altri paesi, contrari alla ristrutturazione del debito greco. Proprio la direzione che negli ultimi giorni hanno indicato il Fondo monetario internazionale e il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Dopo aver visto che la propria democrazia non serve a molto se hai bisogno di soldi, la Grecia dovrà fare i conti con la democrazia più decisiva di chi quei soldi deve sborsarli. Non sarà semplice trovare una quadra.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali