Provaci ancora Giorgio

Alberto Brambilla
Le proposte di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, per trovare un equilibrio tra giustizia ed esigenze dell'economia sono rilevanti ma creare procure specializzate per l'ambiente è superfluo.

Sul Corriere della Sera anche il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi è intervenuto nel dibattito sulle incursioni giudiziarie nelle attività economiche, sui loro effetti negativi, e sulle conseguenze e i rimedi possibili da intraprendere [leggi qui]. Squinzi già in passato aveva criticato l'irruenza dei giudici penali in attività aziendali considerate strategiche (l'acciaieria Ilva di Taranto) o rilevanti (la centrale termoelettrica Tirreno Power) e con questa lettera a Via Solferino interviene per proporre il contributo del sindacato degli imprenditori al fine di fare emergere una soluzione affinché "la giustizia trovi un equilibrio con le esigenze dell'economia" (per esigenze speculative ammettiamo per trenta secondi che la ricerca di un "equilibrio" non spetti essenzialmente al legislatore, come in realtà dovrebbe essere).

 

Squinzi prova meritoriamente a suggerire, sebbene non sia in dovere, una parziale soluzione consistente nella creazione di procure specializzate in materia ambientale. Il presidente di Confindustria coglie il punto della questione come d'altronde ha già fatto in passato – "la necessità di bilanciare gli interessi, nelle scelte legislative anzitutto ma anche nelle decisioni giudiziarie quando possibile, riconoscendo la giusta considerazione alle esigenze della libera iniziativa economica" – e sviluppa le riflessioni del vicepresidente del Csm Giovanni Legnini che hanno cominciato il dibattito sul Corriere [Il Foglio aveva sollevato la stessa problematica qui qualche giorno prima]. Quella di Legnini rappresenta la prima critica esplicita e diretta all'operato dei giudici ecointerventisti [leggi il suo intervento qui e qui l'analisi sul Foglio] e insiste sul potenziamento della formazione dei giudici in materie economiche. Squinzi sostiene e argomenta, in particolare, la necessità di creare procure specializzate, pare di capire, superando anche la territorialità dell'autorità giudiziaria.


Squinzi da homo faber – è patron della multinazionale chimica Mapei – pone un problema operativo, organizzativo, che in realtà nessuno dovrebbe arrivare a porsi (il che la dice lunga sulla sclerosi del sistema e sulle sovrapposizioni di competenze nell'autorità giudiziaria). In materia ambientale infatti esiste già un giudice, per così dire, specializzato. E' il giudice amministrativo quello competente in materia ambientale in quanto la sua "specializzazione" trae appunto origine dal fatto che le fattispecie di competenza è regolata da provvedimenti amministrativi, in questo caso in materia ambientale, che possono provenire da diverse fonti, i comuni, le regioni e lo stato. Il problema da evidenziare è piuttosto il presupposto ideologico che limita – o addirittura svilisce – l'azione del giudice amministrativo; una questione di fondo che ormai è divenuta essenziale.


S'avanza infatti l'idea che nel diritto italiano non esistano tre tipi di processi (penale, civile, amministrativo) in quanto quello con la P maiuscola risulta essere soltanto quello penale che prevale – grazie a una grossa mano del circo mediatico – sugli altri che al confronto appaiono come dei corollari; figli trascurati, non solo dalla cronaca, di un diritto minore. Tuttavia tutte le giurisdizioni hanno pari dignità e medesima efficacia. Bisognerebbe dunque che l’ego delle procure fosse ridimensionato e che i giudici penali abbiano rispetto per quelli amministrativi (che non a caso guadagnano il 20 per cento in più dei giudici ordinari).

 

I tribunali amministrativi danno un po' fastidio al potere politico, e non poco, perché hanno la facoltà di annullare provvedimenti delle autorità centrali; anche generando in alcuni casi effetti perversi altrettanto paralizzanti per l'attività economica. Ma questa non è una ragione valida per concedere la prevalenza del giudice penale che non è primus inter pares rispetto agli altri. Tant'è che la Corte di Cassazione, a sezioni riunite, ha detto che non c'è un giudice che prevale sugli altri. Dal punto di vista tecnico, dunque, il suggerimento ipotizzato da Squinzi difficilmente potrà tradursi in qualcosa di concreto.

 

[**Video_box_2**]Se guardiamo al caso Fincantieri, l'ultimo e il più clamoroso se parliamo rapporto tra giustizia e impresa, il pubblico ministero aveva l'obbligo di applicare una norma entrata in vigore prima del provvedimento cautelare – la cosiddetta “pregiudiziale amministrativa” (nuovo art. 318 bis c.p.) introdotta con la nuova legge sugli ecoreati dice infatti che bisogna applicare il procedimento di conformità amministrativa secondo il quale prima di arrivare al provvedimento cautelare penale serve un passaggio intermedio di verifica della messa a norma dell’azienda da parte delle autorità ambientali e solo dopo sei mesi, in caso di inadempienza, è possibile procedere al sequestro – che avrebbe evitato alla radice il sequestro che ha poi paralizzato lo stabilimento cantieristico di Monfalcone costringendo successivamente l'esecutivo a emanare un decreto riparatorio. La nuova norma non è stata applicata, in questo caso, quel magistrato aveva l'obbligo di applicarla.

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.