Gli scontri ad Atene

Un ponte per Atene

Tsipras assalito dalla realtà (e dai suoi) ora si scontra col suo disastro

David Carretta
Riforme al fotofinish nel Parlamento greco. Fuori gli scontri in piazza e le mai sopite tensioni tra stati europei - di David Carretta

Bruxelles. Nonostante l’improvvisa conversione al realismo di Alexis Tsipras, e malgrado l’accordo di lunedì con i leader della zona euro, la Grexit non è ancora scongiurata, a causa dei danni economici, finanziari e politici provocati durante i sei mesi di Syriza al potere. “Un premier deve lottare, dire la verità al popolo greco, prendere decisioni e non fuggire quando c’è più bisogno”, ha detto Tsipras in un’intervista alla televisione pubblica Ert martedì sera. “Mi assumo tutta la responsabilità di aver firmato un testo in cui non credo”. Un rapporto sugli effetti della Grexit avrebbe convinto il premier a capitolare: senza riserve di valuta straniera, la Grecia non può permettersi un ritorno alla dracma, salvo catastrofiche conseguenze per economia e popolazione. L’accordo, dunque, non è contraddittorio con “l’etica della sinistra”, ha detto Tsipras: non c’è spazio per la “purezza ideologica”. E tanti saluti ai corifei della rivoluzione tsipriota pronta a espandersi a macchia d’olio. E a Yanis Varoufakis con la sua teoria dei giochi: “Il fatto che qualcuno sia un grande economista non significa che possa anche essere un buon politico”. Ma, anche se ha detto di non volere “abbandonare il timone”, il capitano Tsipras rischia di fare affondare comunque la Grecia dopo le spericolate manovre che hanno portato il paese sugli scogli.

 

L’ammutinamento degli ufficiali e della ciurma di Syriza è continuato ieri, mentre il Parlamento si preparava a votare il pacchetto di misure di bilancio e riforme chiesto dagli europei in cambio di un nuovo prestito da 82-86 miliardi per 3 anni. Varoufakis, già dimessosi da ministro delle Finanze, ha definito l’accordo un “nuovo trattato di Versailles”. La sua vice alle Finanze, Nadia Valavani, ha dato le dimissioni. Il ministro dell’Energia, Panagiotis Lafazanis, ha annunciato il “no”. La maggioranza del comitato centrale di Syriza – 109 membri su 201 – ha firmato un documento per condannare “il colpo di stato”. Grazie al voto dei partiti europeisti dell’opposizione – conservatori, liberali e socialisti – il pacchetto non era in pericolo. Ma Tsipras avrebbe minacciato le dimissioni se sfiduciato da Syriza, aggiungendo: “Chiunque abbia una soluzione alternativa dovrebbe venire qui e dirmelo”.

 

[**Video_box_2**]L’incertezza politica di Atene e l’ammissione che il premier non crede nelle misure che dovrà attuare potrebbero rimettere in discussione il salvataggio. La Grexit è ancora dietro l’angolo anche per le tensioni politiche create da Tsipras in Europa. In attesa di negoziare il salvataggio da 82-86 miliardi, nessun paese europeo si è candidato a concedere un prestito ponte bilaterale per permettere alla Grecia di rimborsare 3,5 miliardi alla Banca centrale europea il 20 luglio e gli arretrati al Fondo monetario internazionale. Così, la Commissione è stata costretta a proporre di riattivare un vecchio fondo – lo European Financial Stabilisation Mechanism – sperando di evitare una rottura con il Regno Unito e gli altri paesi non-euro offrendo garanzie collaterali. Il Fmi ha giudicato il debito greco “altamente insostenibile” e ha segnalato la sua intenzione di abbandonare il salvataggio della Grecia, se gli europei non procederanno con misure drastiche. Senza il Fmi a bordo, difficilmente il Bundestag darà il via libera al salvataggio. Almeno il Fmi ha chiarito che non è l’austerità l’origine del debito insostenibile: la mancata attuazione delle riforme nell’ultimo anno “ha portato a un incremento significativo delle necessità finanziarie (più di 60 miliardi) stimate solo una settimana fa”. La rottura dei negoziati, il referendum e la conseguente chiusura delle banche, con una previsione di pil passata dal più 2,5 per cento in gennaio al meno 2/4 per cento oggi, hanno portato a un aumento esponenziale del costo del salvataggio. Nel frattempo, per riaprire le banche prima delle quattro settimane che servono per negoziare il prestito, la Bce potrebbe esigere dagli stati membri di farsi direttamente carico delle garanzie del programma di liquidità di emergenza (Ela), come accaduto nel 2012.