Gli ultimi giorni dell'Ilva

Redazione
L'acciaieria Ilva di Taranto è prossima allo spegnimento totale dopo che la procura tarantina ha oggi convalidato il sequestro senza facoltà d'uso dell'altoforno 2, lasciando l'impianto con una sola fornace attiva. Le conseguenze "greche" dello stop.

L'acciaieria Ilva di Taranto è prossima allo spegnimento totale dopo che la procura tarantina ha oggi convalidato il sequestro senza facoltà d'uso dell'altoforno 2, lasciando l'impianto con una sola fornace attiva. Il sequestro è la prima conseguenza dell'indagine in corso riguardo l'incidente mortale nel quale ha perso la vita l'operaio Alessandro Morricella, 35 anni. Il provvedimento giudiziario scaturisce dalla incapacità dell'azienda in amministrazione straordinaria, quindi sotto l'egida dello stato e condotta dai commissari governativi, di chiarire nell'immediatezza dei fatti le cause dell'incidente e quindi le contromisure da adottare, secondo le indiscrezioni raccolte da Kallanish Steel. Ha creato problemi il fatto che durante gli interrogatori le versioni fornite dai capi operativi del siderurgico e dagli operai fossero discordanti, risulta al Foglio da fonti sindacali.

 

I commissari hanno opposto ricorso al sequestro senza facoltà d'uso presso il tribunale del Riesame sostenendo che non c'è immediato rischio per i lavoratori corroborando tale affermazione con la relazione tecnica commissionata alla Paul Wurth, specializzata nell'impiantistica siderurgica e già incaricata dello spegnimento dell'altoforno 5, il più grande d'Europa ad operare con ciclo integrale ma ormai arrivato a fine corsa e già spento.  

 

L'operatività dello stabilimento è ai minimi storici per quantità e qualità del prodotto. Lo spegnimento dell'altoforno 2 – richiede due settimane di tempo – equivale a ridurre la ipotetica capacità produttiva a 2,6 milioni di tonnellate l'anno su 11 potenziali ai massimi livelli (mai raggiunti). Gli altiforni 1 e 5 sono in attesa di essere rifatti ma non è chiaro con quali risorse. Un sito di quelle dimensioni tuttavia non può reggersi solo sull'operatività dell'altoforno 4, l'unico rimasto attivo. Nemmeno sarebbe ottimale per le condizioni di lavoro e sicurezza in fabbrica affidarsi a una sola fornace, che peraltro ha caratteristiche identiche a quella sequestrata dopo l'incidente mortale. 

 

Come sostiene Federico Pirro, docente di Storia dell'Industria all'Università di Bari e già membro del Centro studi Ilva, una chiusura totale avrebbe esiti "totalmente destabilizzanti per la presenza dell’azienda sul mercato, già oggi fortemente erosa presso i suoi settori e clienti di riferimento, oltre che effetti pesantissimi sino ai limiti dell’insostenibilità materiale sulle condizioni di vita dei 14.320 addetti della fabbrica, delle migliaia di loro familiari a carico e sulle altre migliaia di occupati nelle aziende dell’indotto, nelle attività di autotrasporto, sulle movimentazioni portuali e delle banche, e su tutti gli esercizi commerciali in città e nella sua provincia in cui si spende il reddito degli occupati nell’Ilva". Senza contare l'incidenza sul pil locale, regionale e nazionale.

 

[**Video_box_2**]Al ministero dello Sviluppo economico l'intenzione è quella di attendere l'esito del ricorso. Al momento non sono stati presi contatti con il ministero del Lavoro per valutare l'ampliamento degli ammortizzatori sociali in essere (oltre 3 mila addetti attualmente sono in regime di contratti di solidarietà) o eventuali contromisure operative. La situazione viene descritta come "oggettivamente difficile" in quanto non sfugge che "se si chiudono gli altoforni, l'acciaieria chiude".

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