Valide ragioni per parlare del sud produttivo

Federico Pirro
Non solo Fiat-Chrysler in Molise e Basilicata. Ecco le altre aziende – molte a dispetto dei teorici della desertificazione industriale – che macinano

In un articolo apparso sul Mattino di Napoli martedi 28 il prof. Gianfranco Viesti, partendo dalle vicende della Whirpool in Campania – ove la multinazionale americana vorrebbe dismettere il suo sito di Carinaro nel Casertano che conta 820 addetti – torna a segnalare i (presunti) processi di degrado del manifatturiero nel sud, causati a suo dire anche da una mancanza di politiche industriali del governo.

 

Ora, premesso che al tavolo del ministero dello Sviluppo economico il management di quella società si è dichiarato disponibile a ridiscutere il suo piano industriale (ritiro della chiusura in cambio di incentivi governativi? Ha già funzionato nel sud, come ad esempio alla Bridgestone di Bari), bisogna ricordare – a coloro che si ostinano a raffigurare le regioni meridionali alle soglie della desertificazione industriale – che ad essi hanno risposto ormai da tempo non solo gli approfonditi studi sul meridione ‘che innova e produce’ compiuti dalla Studi e ricerche per il mezzogiorno, ufficio studi del Banco di Napoli, presieduta da Paolo Scudieri e diretta da Massimo Deandreis, ma anche le analisi della Fondazione Edison culminate nel volume "L’economia reale nel mezzogiorno", discusso nelle scorse settimane all’Università di Bari alla presenza del professor Marco Fortis, uno dei consiglieri economici del governo, e dell’allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio, poco dopo nominato ministro delle Infrastrutture.

 

Ma insieme agli studi dei qualificati centri di ricerca appena ricordati, sono gli annunci di nuovi investimenti dati da alcune grandi imprese, come ad esempio la Fiat-Chrysler Automibiles e la Getrag, azienda tedesca di componentistica per autoveicoli, a smentire ogni lettura catastrofica della situazione del comparto manifatturiero nel sud. L'ad di Fca Sergio Marchionne infatti ha appena annunciato un altro investimento di 500 milioni nel sito molisano di Termoli (nella foto) ove lavorano 2.400 persone per la costruzione dei nuovi motori per l’Alfa Romeo, mentre la tedesca Getrag ha presentato un nuovo investimento di 100 milioni nel suo stabilimento di Bari che occupa 802 addetti diretti e 135 interinali per arricchire la gamma dei sistemi di cambio che escono dall’impianto.

 

Tali interventi fanno seguito a quelli di altri big player localizzati in alcune aree del sud e operanti nei comparti dell’automotive, dell’aerospazio, dell’agroalimentare e del farmaceutico: investimenti documentati sulla stampa specializzata e in relazioni sui contratti di sviluppo da Invitalia, ma stranamente ignorati dai profeti del catastrofismo industriale. Ma a ben vedere anche gli interventi del ministero dello Sviluppo e della sua task force per l’occupazione hanno conseguito il risultato – lavorando di concerto con imprese, sindacati e istituzioni territoriali – di rilanciare siti che, invece, sembravano destinati a scomparire. Ne è stata redatta anche una scheda accurata a disposizione di chiunque voglia documentarsi al riguardo.

 

Ma le notizie positive per l’industria nel sud non finiscono qui: altre ricerche in corso – una delle quali a opera di chi scrive – stanno documentando l’esistenza nel cuore profondo dell’economia di larghe zone del meridione di aziende che quasi sempre, pur non facendo notizia, raggiungono fatturati elevati in relazioni alle medie dei rispettivi comparti, esportano quote crescenti dei beni prodotti, occupano in molti casi centinaia di addetti anche nelle filiere dei loro indotti, dialogano con costanza con centri di ricerca universitari.

 

[**Video_box_2**]Ad esempio, da una ricerca in corso sul sistema produttivo della Città metropolitana di Bari che abbraccia i Comuni della sua ex Provincia, è emerso che la stessa area – insieme alla contigua provincia BAT-Barletta-Andria-Trani – costituisce la nona area in Italia per il pil prodotto, dopo Milano, Roma, Torino, Napoli, Brescia, Bergamo, Bologna e Firenze. Concorrono al raggiungimento di tale posizione un tessuto di piccole, medie e grandi aziende agroalimentari, meccaniche, agroalimentari, del legno-mobilio, farmaceutiche, tessili e calzaturiere, dell’Ict, della ristorazione, dell’edilizia e del settore trasporti fra le quali spiccano - i dati di fatturato sono riferiti al 2013 - Merck Serono (farmaceutica) con 1,2 miliardi di euro, Casillo Partecipazioni (alimentare) con 820, Marseglia Group (energia da biomasse) con 669, Natuzzi con 436, Getrag con 435, Bridgestone con 363, Divella con 307, Siciliani carni con 300, Tdit-Bosch con 277, Exprivia (Ict) con 126, Ciccolella (floricoltura) 106, Olearia Desantis con 97, Cofra (safety shoes) con 83, Abruzzese Trasporti con 81, Mer.Mec (meccanica) con 80, GTS Trasporti con 70, Gruppo Turi (mobili) con 62, Pastificio Granoro con 59, Aleandri (edilizia) con 57, Alfrus (alimentare) con 50, Pastificio Riscossa con 36. Ad esse - che non esauriscono l’universo delle industrie locali che include altri grandi stabilimenti di multinazionali con sede legale esterna al territorio -  se ne affiancano alcune con fatturati molto elevati nel comparto della distribuzione come Megamark e Cannillo, in quello della ristorazione industriale come Ladisa, e dell’impiantistica. Insomma il sistema industriale di una delle maggiori aree meridionali e del Paese - per quanto provato anch’esso dalla grave recessione degli anni 2008-2014 - manifesta una capacità reattiva di rilievo con fatturati nel 2013 (ma già superati l’anno successivo) robusti e mediamente con buoni margini di redditività.

 

Federico Pirro è docente di Storia dell'Industria all'Università di Bari ed è consigliere del Centro studi Confindustria Puglia

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