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La crisi demografica in Italia è cominciata con il referendum sul divorzio

Roberto Volpi
I numeri spiegano le ragioni del Fertility Day: i figli sono cominciati a venire meno da quando è venuto meno il matrimonio.

E’ difficile parlare di Fertility day in un paese dove non si fanno figli né, a quel che si vede e si sente, si ha intenzione di farne. Ecco il nocciolo di tutta la faccenda: i figli sono cominciati a venire meno da quando è venuto meno il matrimonio. La prima istituzione a mostrare crepe e cedimenti, in Italia, è stato il matrimonio. Crepe e cedimenti nella natalità, nel numero annuo dei nati, sono seguiti a ruota e come diretta conseguenza. Ci teneva in alto il matrimonio, ci sprofonda in basso la sua estenuante crisi, una tisi che non c’è sanatorio che sembra capace di contrastare. Vogliamo agire sulla natalità? Non c’è via di scampo né via di mezzo: occorre agire sul matrimonio. Certo, il matrimonio in Italia non è cominciato a declinare, ça va sans dire, per opera dello Spirito santo.

 

Di mezzo ci s’è messo il divorzio, e più del divorzio il referendum sul divorzio che, col 60 per cento dei no alla legislazione appena introdotta, ha segnato una vera cesura storica e culturale nel modo di pensare e negli stili di vita degli italiani. Cesura inevitabile e sacrosanta, io credo, perché non c’è modo nelle odierne società avanzate d’imporre per imperio la durata del matrimonio fino alla morte di uno dei due coniugi. Ma nondimeno cesura. In una società italiana fino ad allora letteralmente fondata sul matrimonio e tenuta assieme dal collante delle famiglie che ne conseguivano, la possibilità di sciogliere il matrimonio per diretta volontà di uno o di entrambi i contraenti ha avuto come conseguenza la radicale smitizzazione di quest’istituto, mentre il suo passaggio da mani per così dire divine a mani senz’altro umane s’è rivelato un’arma dagli effetti così dirompenti da lasciare senza parole anche i divorzisti più convinti (seppure non lo ammetteranno mai). I primi a farne le spese, si diceva, sono stati i figli.

 

Quanti hanno la fissa dei figli come diretta conseguenza di condizioni tutte materiali, dal lavoro alla casa, dal reddito alla sicurezza, sono invitati a riflettere su queste non opinabili quantificazioni prodotte non da noi ma dalla storia recente del paese. Il primo cedimento di una certa entità del numero dei matrimoni celebrati in Italia è del 1974, quando scendono di oltre 15 mila rispetto ai 419 mila del 1973. Poco dopo, nel 1979, quando erano passati appena cinque anni dal referendum, sarebbero scesi a 324 mila. In pratica, nell’arco di sei anni, si perdono 95 mila matrimoni, un matrimonio su 4-5 evaporato nel tempo di girare l’angolo. E i figli? Ecco, i figli invece nel 1974 perdono appena lo 0,7 per cento rispetto all’anno prima, un niente in sé (6 mila in meno su 875 mila) e meno di un quinto della perdita invece considerevole del 3,6 per cento dei matrimoni. L’anno dopo, il 1975, le cifre delle perdite aumentano, ma sono ancora i matrimoni a segnare una contrazione ch’è già il segno della resa: quasi 30 mila matrimoni in meno, pari al 7,2 per cento in un solo anno: un record.

 

Le nascite cominciano però a risentire fortemente della situazione della nuzialità, perdendo a loro volta il 4,7 per cento e in cifre assolute la bellezza di 41 mila unità. Soltanto col 1976 i nati cominceranno ad allinearsi anche in proporzione, fino a perdere percentualmente più degli stessi matrimoni. Alla fine del 1979 i nati saranno 200 mila meno dei nati nel 1973, il 23 per cento in meno, una contrazione che fa il pari con quella dei matrimoni. Dalle serie storiche, insomma, si evincono almeno quattro conclusioni. La prima: tutto ha inizio con il 1974, anno del referendum sul divorzio. La seconda: sono i matrimoni a cedere per primi. La terza: le nascite seguono a circa un anno di ritardo. La quarta: appena cinque anni dopo la celebrazione del referendum, matrimoni e nascite hanno subito pressoché lo stesso crollo percentuale del 22-23 per cento.

 

Dimostrazione più solida del legame che unisce le nascite ai matrimoni – e altresì il loro congiunto declino alla data del referendum sul divorzio – non potrebbe esserci. Eppure si continua a non mettere il dito nella piaga. Capisco la ministra Lorenzin, appesa all’incontrario all’albero del politically correct semplicemente per aver ricordato che la fertilità ha età, nel senso ch’è funzione decisamente decrescente (dell’aumentare) dell’età della donna. La capisco perché se si fosse azzardata a dire che i figli sono legati al numero dei matrimoni, e dunque che per fare figli occorre sposarsi, credo che le avrebbero fatto fare una brutta fine.

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