Il 16 settembre scorso il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ha inaugurato un murale dedicato a Magnotta (foto Comune dell’Aquila) 

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Eroe per caso. Il mito pop di Mario Magnotta

Francesco Palmieri

Scherzi telefonici e una lavatrice. Così un bidello dell’Aquila è diventato, senza volerlo, un’icona

Se su Wikipedia cercate “16 settembre” troverete diversi eventi storici legati a questa data, come l’indipendenza del Messico (1810), la “notte delle matite spezzate” in Argentina (1976), il massacro di Sabra e Shatila (1982). Per il 1987 leggerete, quale episodio memorabile, “Mario Magnotta subisce il celebre scherzo della lavatrice”. Per una consistente platea di iniziati è cosa nota, anche perché quel giorno viene ricordato ogni anno con un Magnotta Day. Stimiamo tuttavia che fra i lettori si annidino numerosi profani, i quali hanno diritto a un immediato ragguaglio.

“Cosa resterà di questi anni Ottanta” si chiedeva, all’epilogo di quel decennio, un brano di Raf che passava su tutte le radio: oggi possiamo sicuramente dire che è restato fra le tante cose il mito pop di Mario Magnotta, un “everyman” dell’Aquila assurto a fama del tutto involontaria per essere rimasto vittima di una serie di scherzi telefonici architettati da due concittadini cultori di quella vena goliardica, dai tratti teneri e spietati, cui la provincia italiana provvedeva fertile humus. Altro che internet e i social, altro che telefonini. All’epoca c’era l’apparecchio bigrigio a rotella della Sip, c’era l’Italia che in un anno, quel 1987, cambiò tre governi (Craxi, Fanfani VI e Goria), c’era un Festival di Sanremo che – regnante Pippo Baudo – registrò con buona pace di Carlo Conti l’audience più alta della storia. C’era soprattutto l’enorme spazio creativo spalancato dalla noia, che oggi s’inganna con la digitazione compulsiva dei reel su Instagram e YouTube dove s’amano e s’odiano lontani personaggi della politica o dello spettacolo. A quel tempo s’ammazzava lo spleen diversamente: costituivano efficace medicina le burle mirate ai personaggi prossimi, quelli che avevi conosciuto al bar, a scuola, negli uffici e che per qualche stramba forma caratteriale, a cagione di un tic o di inconsuete peculiarità meritavano l’acre privilegio del tormento ridanciano. Magnotta, bidello all’Istituto tecnico commerciale “Luigi Rendina” dell’Aquila, natura ingenua quanto fumantina, praticava in omaggio al quieto vivere un sordiano ossequio verso chiunque esercitasse qualche autorità, sfoderando per la medesima ragione la veemenza dei giusti contro ogni insidia alla propria tranquillità.

 

L’obbligo di permutare una lavatrice marca SanGiorgio con un costoso modello nuovo, prescritto da una immaginaria clausola siglata nel precedente acquisto sei anni prima, fece perdere per più di un mese pace e sonno a Magnotta, straziato da decine di telefonate dei suoi persecutori. Gli ingegnosi aguzzini Antonello De Dominicis e Maurizio Videtta soprannominato Bullò, ex alunni dell’Istituto tecnico commerciale, s’alternavano alla cornetta impersonando una serie di soggetti che soffocavano progressivamente il bidello in un lacciuolo kafkiano: il direttore milanese della SanGiorgio, il ragioniere della ditta concessionaria per L’Aquila, il dettagliante da cui Magnotta aveva comprato l’elettrodomestico. Furono registrate su cassette solo quattro delle innumerevoli chiamate, di cui l’ultima – consumatasi quel fatidico 16 settembre – suscitò l’ira funesta della vittima, dopo che nelle settimane precedenti il suo umore era trascolorato per tutte le tonalità (tentativi di arruffianamento, scatti stizzosi, orgogliose rivendicazioni di onestà, annaspanti rilanci dialettici). Alla fine, messo alle strette like a cornered rat, il bidello non ne potette più: il crescendo furioso di quei quasi nove minuti culminò in una mitragliata di bestemmie, imprecazioni, un “no!” urlatissimo e una minaccia diventata gemma proverbiale per i magnottisti vecchi e nuovi, incastonata pure da Simone Cristicchi nel brano L’Italia di Piero del 2007: “M’iscrivo ai terroristi!”.

 

Così, suo malgrado, l’ignoto e ignaro bidello si consegnava a una popolarità che sarebbe durata per il resto della vita: conquistata nell’èra analogica, quando il passaparola era letteralmente tale, è proseguita negli anni digitali sfidando la miriade di contenuti che giorno dopo giorno inzeppano il web; conseguita presso una generazione dedita al difficoltoso reperimento dei nastri duplicati di mano in mano, quella popolarità si è imposta anche presso chi negli anni Ottanta non era nato e si gode e rigode comodamente la saga di Magnotta con un clic su YouTube (tra i link con l’ultima telefonata dello scherzo, “Lavatrice 4”, ce n’è uno che conta due milioni 600 mila visualizzazioni). Nemmeno la morte del bidello nel 2009 ne ha offuscato la “leggenda”, che di recente s’è anzi rinverdita: il 16 settembre scorso il sindaco dell’Aquila, Pierluigi Biondi, ha inaugurato un murale di Magnotta con il suo volto effigiato su una fantasiosa banconota da 480 mila lire, la cifra a cui il bidello pagò, e teneva a precisare in contanti, la benedetta lavatrice. “Mario è stato, a suo modo e senza volerlo, un influencer ante litteram, in un’epoca in cui internet e i social media ancora non esistevano” dichiarò il sindaco alla cerimonia di scopertura dell’opera. Quella notorietà nata per caso lo rese icona aquilana, “un personaggio popolare e trasversale entrato nell’immaginario collettivo”. Non è il primo riconoscimento, né forse sarà l’ultimo, concessogli postumo dalla città adottiva (Magnotta, nato in provincia di Imperia, arrivò da piccolo all’Aquila e rimase presto orfano dei genitori): nel 2012 fu deliberata l’intitolazione di una strada che ancora attende la localizzazione, mentre qualcuno ha proposto di ristrutturare l’alloggio in cui abitò il bidello, danneggiato dal terremoto, per trasformarlo in un minuscolo museo. Intanto sulla sua vicenda è appena uscito il documentario “Semplice cliente”, scritto e diretto da Alessio De Leonardis per Mescalito Film e proiettato in anteprima a L’Aquila il 22 novembre scorso. Che riempisse un cinematografo del capoluogo abruzzese era prevedibile, ma non erano scontate le richieste fioccate da decine di altre sale, da Milano alla Sardegna passando per Roma, dove questa settimana le proiezioni al Barberini hanno registrato il sold out. Ricordano i veterani di Magnotta che nella Capitale il suo culto fiorì subito, da quando i privilegiati possessori di quelle audiocassette le sparavano dalle autoradio a tutto volume e ne propagavano l’ascolto pur non sapendo cosa significasse il verbo “viralizzare”.

 

Romano dell’82, a De Leonardis, come a tanti fan più giovani, la saga aquilana è stata tramandata: “Nel mio caso fu un fratello maggiore, per altri sono stati i cugini più grandi o i genitori. Ne ho avuto conferma quando mi sono ritrovato nei cinema tanti ragazzi, per i quali credo che il mito di Magnotta simboleggi un’epoca di maggiore libertà da loro non vissuta ma orecchiata”, ci racconta il regista, “ossia quella della cinica ma umanissima spensieratezza che animava gli Amici miei di Monicelli, politicamente scorretta ma leggera, quando non incombeva ancora la smania di catalogare persone e parole né di normare la risata. Oggi, che quasi nessuno accetterebbe certi scherzi e perciò quasi nessuno sa più come scherzare, i grandi sceneggiatori delle commedie all’italiana difficilmente riuscirebbero a lavorare. Io stesso, quando scrivo, per esprimermi più liberamente devo ambientare le storie una trentina d’anni addietro”.

 

Neanche Mario Magnotta, naturalmente, era politically correct: quando gli rivelarono che il tormentone della lavatrice era stato una canzonatura, quando all’insaputa degli stessi autori, restii inizialmente a diffonderle, quelle cassette cominciarono a circolare, lui la prese con disinvoltura britannica. In fondo, disse, quei figuri immaginari contro cui aveva scagliato le invettive finali gli avevano tenuto compagnia. Nemmeno si rizelò quando scoprì altre burle di cui era stato vittima, sebbene toccassero aspetti delicati della vita privata: un finto operatore di Telefono Azzurro che ipotizzava la sua omosessualità e gli contestava l’educazione della figlia; il sedicente amante della moglie – dalla quale era stato davvero abbandonato – che gli chiedeva di riprenderla e versarle una somma maggiore di quella stabilita nell’accordo di separazione. L’aspirante magnottista curioso di sentire le reazioni del bidello, passibili della più ovvia censura quanto suscitatrici della massima solidarietà, troverà tutto sul web e forse capirà perché si continui a celebrare quel sanguigno, fragile signore con un Magnotta Day, e perché il suo viso coi baffoni abbia ispirato magliette, gadget, un esaustivo sito internet (www.magnotta.it), gruppi Facebook dal titolo ammiccante (“Figli di Magnotta”) e persino un fumetto: Magnotta Wars di Antonio Recupero e Fabrizio Pluc Di Nicola, uscito in prima edizione nel 2017 e ristampato a settembre da Emmetre Edizioni. Più semplicemente, si comprenderà l’affezione a questo mito pop nostranissimo e dal marcato accento abruzzese scorrendo la mole dei commenti su YouTube alle sue inconsapevoli performance, tra cui peschiamo qualche recente esempio: “Questo non è uno scherzo telefonico. Questa è arte. Un distillato di frustrazione, rabbia, nevrosi, caos mentale, elettrotecnica, rassegnazione, blasfemia, ingenuità, cortesia e italianità racchiuso in una bolla surreale che lo rende immortale nel tempo”; “ero un ragazzino quando la mitologica cassetta iniziò a girare in tutta Italia, e sono qui, a 48 anni suonati, a ascoltare e ripetere mentalmente, parola per parola, l’epopea di un mio personale eroe”; “bellissimo, il fenomeno Magnotta è stato quasi un ponte tra analogico e digitale, il girare delle cassette e i download su internet, un fenomeno che non accadrà mai più”. In quel bidello si riassume insomma, così recita lo slogan di “Semplice cliente”, “l’assurda parabola di un uomo comune, inconsapevole pioniere della viralità italiana, simbolo di ironia, fragilità e resistenza”.

 

Forse, se uno scherzo simile fosse congegnato adesso, la vittima sarebbe più avveduta (e bisognerebbe camuffare il numero del chiamante): dopo il primo approccio chiederebbe consiglio all’AI di Google, agli amici di Facebook o si rivolgerebbe al Codacons per intentare una class action contro la SanGiorgio. Magari, a burla confessata, minaccerebbe o sporgerebbe denuncia ai sensi dell’articolo 660 del codice penale (molestie o disturbo alle persone) o ai sensi di qualche nuova violazione attinta dal vocabolario inglese. Se Magnotta l’avesse risolta così, più o meno malamente, la faccenda sarebbe finita davanti al giudice o nel dimenticatoio entro poche settimane, tutt’al più con l’effimero strascico di un gossip locale. Invece aderì subito al personaggio che era improvvisamente diventato e cavalcò la tigre. Anziché frapporre ostacoli assecondò la diffusione dello scherzo, consacrata con l’approdo alla tv nazionale e la prima ospitata nel programma di Fabrizio Frizzi I fatti vostri su Raidue nel 1992. Divenne la star di numerose serate a tema nei locali di diverse città, vestì i panni dell’opinionista presso le emittenti private con una rubrica tutta sua e fu persino “sindaco ombra” dell’Aquila, ruolo in cui produsse proposte tra l’assurdità e il buon senso, come quella di risolvere l’annoso problema dei parcheggi abbattendo le troppe chiese chiuse (e per questo fu minacciato di scomunica).

“Quando si rese conto, dopo tanta vita oscura e difficile, di essere diventato suo malgrado un mito, ebbe l’intelligenza di sfruttare la nuova condizione e compensò con il divertimento e la notorietà un’esistenza che era stata sempre in salita”, commenta De Leonardis, al quale è riuscita anche l’impresa di combinare l’incontro fra gli autori dello scherzo e Romina, la figlia di Magnotta, che prima si era sempre negata ma ha finalmente accettato l’eredità di un padre diventato – ci perdonino gli aquilani – l’uomo più noto del capoluogo. Almeno presso una larga fascia di italiani senza troppa puzza sotto il naso.

Il bidello glorioso morì a soli sessantasei il 4 gennaio di quel funesto 2009, tre mesi prima del sisma che travolse la città, tante vite, le antiche pietre e gli affetti. Magnotta però resistette nella memoria anche al lutto collettivo: non appena a L’Aquila si tornò a sorridere in tanti ripensarono a lui e ci ripenseranno pure l’anno prossimo, quando il capoluogo gestirà il titolo di Capitale italiana della Cultura. Perché, se non contempla più anche il gioco, vera cultura non c’è.
 

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