Vilhelm Hammershøi, Interno, Strandgade
le feste nella casa del lutto
“La lunga ombra” di Celia Fremlin, il nostro romanzetto canaglia del Natale
Un lutto recente, una casa assediata da consolatori invadenti e una vedova tutt’altro che mansueta: Celia Fremlin rovescia il santino del dolore in un quasi-giallo ironico e perturbante
Che cosa si dice alle donne di mezza età che hanno l’ardire di presentarsi alle feste quando ancora pochissimo tempo le separa da un lutto?
Questo si chiede Imogen – la neovedova Imogen Barnicott – per tutto il tempo che passa fuori casa, la prima sera e la prima volta, da quando il coniuge Ivor – il professor Ivor Barnicott –, causa incidente automobilistico, è passato di Là. “Vorrei essere al sicuro a casa”, pensa mentre constatata l’imbarazzo altrui nei suoi confronti, “a sentirmi infelice in pace”. L’amica Myrtle non c’entra niente. Lei, invitandola, aveva le migliori intenzioni. Infatti è inferno: e la serata, nata storta, non finirà dritta.
“La lunga ombra” (Sellerio, pp. 311, euro 15) di Celia Fremlin è il nostro romanzetto canaglia del Natale: scritto in spirito a esso lietamente antitetico, vola via come un cavallino imbizzarrito. Potrebbe anche intitolarsi “Natale nella casa del lutto”, frase con cui inizia il capitolo 7. E racconta l’invasione della casa di Imogen da parte di una sgradita schiera di parenti veri, acquisiti, apocrifi e portoghesi vari, che convengono presso di lei per soccorrerla, per starle vicino, preoccupati che la fine dell’anno possa essere, con le sue strazianti festività, un momento tremendo per la povera vedova. La quale tanto povera non è, anzi, è dotata di acume e di capacità di osservazione. Il primo dell’infelice lista, la cui presenza si trova a dover domare, è proprio il figliastro Robin – alto, robusto, in sovrappeso nonostante i soli trent’anni compiuti. Il quale irrompe, si sbraca, gironzola, decide di chiamarla “Mat” per cavarsi d’impaccio (Mat per Mater, seppur lei sia stata solo la moglie di suo padre), fannulloneggia per qualche ora, infine spara: “Quel che mi domandavo è, Mat cara, se non sarebbe una buona idea, ora che papà è schiattato, che io torni a vivere a casa. Che ne pensi, Mat? Buona idea? Sì?”.
Pessima, invece. La prima di una lunga serie di pessime idee a forma di buone intenzioni che animerà l’esercito dei consolatori della sventurata in gramaglie. Ma ciò che toglie Imogen dal santino della vedova, per metterla, agli occhi del lettore, in una posizione quantomeno sospetta, è una telefonata. La riceve poco prima dell’arrivo del molliccio parassita Robin. Una telefonata notturna, che la accusa della morte del marito Ivor.
Due parole su Ivor: professore di Lettere classiche, Grande Egocentrico, seduttore e manipolatore impenitente, scalatore di carriere universitarie. Quando l’amica Myrtle, per incoraggiarla a non abbandonare la festa e a divertirsi, le dice: “Ivor non vorrebbe che tu continuassi a piangere all’infinito…”, ecco che Imogen, dentro di sé, rettifica: altroché se avrebbe voluto! “All’infinito sarebbe stato un tributo anche troppo breve per l’ego smisurato e incontenibile di Ivor”. Sapersi pianto e rimpianto per sempre, quello sì che sarebbe stato un buon modo di passare l’eternità per uno come Ivor. Ma ovviamente le aveva risposto: “No, non vorrebbe…”, pensando che forse, per una sera, avrebbe anche potuto godersi l’insolita sensazione di essere una persona intera e non “la parte incompleta di una coppia”. Non andrà così: due ore infinite, passate a non sapere che faccia fare, dove stare, cosa (far) pensare. Unica salvezza, il pensiero di tornare a casa.
In quel momento ancora non sa, Imogen, cosa sarà di casa sua, mentre una neve fatata scende dal cielo e la più rumorosa (e numerosa) invasione dei suoi spazi privati sta per avere inizio. Elenco convenuti: Dot, la sorella di Robin, con al seguito due bambini e il marito Herbert, che non potremmo descrivere come Mister Personalità; i due fratelli di Ivor, portatori sani dei peggiori aspetti del marito; la perfida, abilissima Cynthia, che si autoinvita e diverrà inamovibile; e Piggy, amica lagnosa e lunatica di Robin (fidanzata? amica? complice?). Al centro della bufera, Imogen, vedova forse consolabilissima, orbata bifronte, punto di equilibrio del quasi-giallo di Fremlin. Accadranno cose strane, molto strane, apparizioni comprese. Da incorniciare la visione del mondo di Dot: “Non esistono le bugie, esiste solo l’incapacità di distinguere tra fantasia e realtà”.