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Lady Macbeth divide la Prima della Scala tra applausi, veleni e popstar
Dalla regia ‘cinematografica’ di Barkhatov al caso Vespa-Carlucci, passando per le accuse di ‘irrispetto’ e l’entusiasmo dei nuovi idoli del pubblico: Šostakovič torna a dividere, ma l’opera resta un trionfo da record
Fra quelli che “Dmitrij Šostakovič aveva lasciato scritto che Katerina è un raggio di luce e dunque la direzione chiara, limpida e a tratti poetica di Riccardo Chailly è perfetta” e quelli (pochi per la verità, ma si tratta di un gruppetto che si fa sentire) che “quest’opera dovrebbe arrivare come un calcio nello stomaco, dunque suoni sporchi e regia maledetta, non una minestrina per il pubblico dell’inaugurazione”, è andata anche questa Prima della Scala, stagione di grazia 2025-2026. Undici minuti di applausi, cronometrati, ma soprattutto l’incasso più alto di sempre; un momento di orgoglio che il Teatro alla Scala ha tenuto a comunicare in via ufficiale. Non si era ancora abbassato il sipario che l’ufficio stampa, dopo aver non solo allestito non solo la celebre Sala Gialla, ma anche i corridoi e i loro stessi uffici per gli ottanta cronisti accreditati da tutto il mondo, aveva già diramato la cifra, con dettagli: “Dopo il trionfo dell’Anteprima per i più giovani il 4 dicembre, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovič ha debuttato nella serata più importante del calendario del Teatro alla Scala di fronte a 1.896 spettatori, registrando un incasso definitivo di 2.679.482 euro, cifra record che supera di più di 100mila euro i ricavi dell’Inaugurazione della Stagione 2024/2025, attestati sulla cifra di 2.560.492 euro”. Federico Mollicone dichiarava a microfoni aperti che “Lady Macbeth”, opera proto-femminista come hanno capito, compatte, perfino le moltitudini dei social e le cui gesta che qui al “Foglio” abbiamo paragonato all’istinto di potenza nietzschiano e alla volontà di autoaffermazione oltre i limiti dell’etica risalendo fino alla Juliette di Donatien de Sade, era “irrispettosa nei confronti delle donne”. Si consiglia lettura del racconto di Nikolaij Leskov per Natale. L’ha trovata invece “scandalosa ma interessante” la senatrice Liliana Segre, a cui spettava ancora una volta il ruolo di madre della patria mancando il presidente Sergio Mattarella per il terzo anno consecutivo e che dunque si è affacciata dal palco reale (o centrale) osannata dalla sala.
Pareri opposti anche sulla rappresentazione degli atti sessuali previsti e indispensabili che, ci perdonino i cantanti, è stato un bene e non un male, come ha detto qualcuno, hanno mimato vestiti e la protagonista Sara Jakubiak addirittura in gonna a pieghe: a parte che la letteratura pullula di rapporti furiosi con le gonne in capo, ci sono corpi, età e fisicità che denudare in scena non giova. Dunque, un’opera “divisiva” come si direbbe oggi e come in effetti fu alla sua prima esecuzione e nella sua prima stesura, quella ascoltata ieri sera, salvo l’unanime dissenso del pubblico a casa per la conduzione della diretta su Raiuno a cura di Bruno Vespa a Milly Carlucci: dovrebbe esserci davvero un limite all’incompetenza ma dicono che in Rai, dove peraltro i competenti abbondano e sono anche giovinotti e di gradevole aspetto, vengano entrambi considerati dei “veri signori” e dunque atti a condurre la serata a prescindere da quanto sappiano di lirica e sebbene tendano a confondere Tosca con Mimì, che anche in un futuro operistico nazionalista, come il governo minaccia, potrebbe rivelarsi un intoppo. Comunque, bene e soprattutto molti russi in sala, visibilmente contenti dell’exploit alla regia scaligera di Valery Barkhatov, quarantadue anni e un gusto molto marcato per il grottesco, oltre a un ciuffo di capelli biondi dritto sulla testa e uno stile che ricorda più quello dell’ambiente della moda che a quello del teatro, tanto che, e non a caso, lo spettacolo “costruito per piani cinematografici “ è piaciuto molto al presidente della Camera della Moda Carlo Capasa. I russi che passeggiavano in foyer erano tutti, a vario titolo, italiani: per residenza, per attività, per legami pluridecennali. In realtà alla Scala sono sempre stati, e non solo alle Prime. Ieri sera, con la compagnia russa sul palcoscenico, si facevano solo notare un po’ di più e, nonostante qualche commento malevolo delle signore in ghingheri e qualche domanda mirata a sollevare la polemica e in questo caso rintuzzata saggiamente dallo stesso Mollicone (“È un'opera anti-stalinista e l'amicizia tra il popolo italiano e il popolo russo è solidissima”), è stato chiaro a tutti che della cultura e dell’opera russa, spesso dissidente o perseguitata come in questo caso, non si possa fare a meno (per dirne una, la moda sono cent’anni che prende spunto dai Balletti Russi). Presente con tutta la famiglia, moglie Katerina compresa che è appunto direttrice di riviste di moda, il presidente e ceo del gruppo Bosco dei Ciliegi Mikhail Kusnirovich, residente a Tremezzina sul lago di Como, grande sostenitore dei balletti scaligeri, che sul Lago Maggiore va restaurando da anni il celebre hotel Lido di Baveno e ci ha detto che inaugurerà “almeno la parte della spiaggia” entro i primi di maggio, prima di mettere mano, o per meglio dire maestranze, all’opera per ristrutturare le strade attorno al grande edificio Liberty, arricchendole di boutique di lusso, gli imprenditori italiani fanno la fila da tempo per assicurarsi uno spazio.
Si è detto appunto che vi fosse “poca politica” in sala, ma a parte il commento del governatore Attilio Fontana, (“ce ne faremo una ragione”, che è il moderno equivalente del “chissenefrega”) è chiaro che, opportunità e impegni a parte, vi siano opere e compositori che tengono lontani i rappresentanti dei due rami del Parlamento, tipo Richard Wagner (anche al “Lohengrin” dell’opera, zero politici o quasi ed eravamo a Roma) e, scopriamo adesso, Dmitrij Šostakovič. Il Signore benedica invece chi ha avuto l’idea di invitare Achille Lauro e Mahmood, perché le loro dichiarazioni sull’opera da “gustare in ogni battuta”, sono il miglior viatico che la Scala si possa assicurare per i prossimi vent’anni. Non serve la politica in sala, servono gli idoli pop che avvicinino un pubblico convinto che l’opera sia una noia e non la forza dirompente che è.
Poca vera eleganza, quei pochi in Armani, due signore con la tiara di plastica in testa, una sciocchina ignota vestita da fatina. Consueta cena alla Società del Giardino molto lunga, gastronomicamente poco interessante per non dire antica e pesantuccia, ospiti stremati: forse è arrivato il momento di far evolvere il dopo-Scala verso qualcosa di più moderno, magari vendendo i posti per beneficenza, e comunque evitando di servire l’arrosto a mezzanotte.
N.B. Nessuno si è accorto del corteo Pro-Pal fuori dalle transenne. Come degli scioperi del venerdì di Landini, sono diventati uno di quegli accidenti che la gente subisce. Con minor disagio, però, per fortuna
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