Ansa
la prima della scala
Nel grigiore di una vita banale. Povera Lady, più vittima che colpevole
La sfrontatezza sessuale dell’opera, la frusta del regime, Shostakovich che distilla gocce di libertà musicale. Duetto tra melomani
Ci siamo. Domenica si ripete il rito della prima della Scala (alle 18, diretta anche su Raiuno). In scena, Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Shostakovich, nel cinquantenario della scomparsa dell’autore. Dirige Riccardo Chailly, regia di Vasily Barkhatov, protagonista Sara Jakubiak. Presentazione in duetto.
Federico Freni: Ed eccoci ancora al 7 dicembre, quest’anno con un titolo apparentemente meno “digeribile” di altri. Dopo il Boris Godunov di due anni fa, di nuovo un’opera russa. Musica magnifica e soggetto direi quasi verista per quest’opera che, se ci pensiamo, ha meno di cent’anni, perché debuttò nel 1934. Insomma… cosa ci aspettiamo?
Alberto Mattioli: La Lady Macbeth di Shostakovich è un grande classicone del Novecento, un secolo che aveva profetizzato la morte dell’opera lirica e invece ne ha prodotta una quantità singolarmente elevata di bellissime. Per il gran rito della Prima più prima che ci sia, direi che prevale un moderato ottimismo, come avrebbero detto i democristiani. Il titolo non è astruso anche per chi si è fermato più o meno a Puccini, e in ogni caso non pericoloso (leggi: non fischiabile. Nessun loggionista fischia Shostakovich, a meno di malefatte registiche particolarmente gravi), a parte per Milly Carlucci che su Raiuno dovrà esibirsi in una lunga serie di nomi russi, lei che per tre inaugurazioni non aveva ancora imparato a dire Netrebko. La scelta di un’opera russa mi sembra meritoria per ribadire che la Russia che invade l’Ucraina non ci piace e il suo regime criminale men che meno. Ma la cultura russa, sì, lei resta irrinunciabile. La persecuzione di cui fu vittima Shostakovich dimostra che la natura del potere russo non cambia. Stalin giocò con lui come il gatto con il topo, esattamente come Nicola I aveva fatto con Puskin…
FF: Eh, sì. Dal giorno del famigerato articolo sulla Pravda che stroncò l’opera il povero Shostakovich dormì vestito, con una valigia piena accanto al comodino, convinto che sarebbero venuti a prenderlo per portarlo via. Per un certo periodo, mise addirittura una sedia sul pianerottolo, e si addormentava lì. Così, diceva, quando arriveranno non dovrò nemmeno svegliare mia moglie. Hai ragione, la natura del potere russo, direi forse la natura della Russia, non cambia. Cambia la nostra percezione, ma non la Russia. Ed è in questa linea, come fu per il Boris del 2022, che va letta, una volta di più, l’operazione di recupero che Chailly e la Scala hanno fatto: la cultura russa non è il regime russo. Non lo era ai tempi di Stalin, non lo è oggi.
AM: E’ interessante capire perché il regime decise di colpire proprio la Lady. Secondo me, le ragioni sono tre. La prima è la sfrontatezza sessuale dell’opera. Quel famigerato 26 gennaio 1936, quando Stalin andò al Bolshoi a vederla accompagnato da Molotov, Mikojan e Zdanov, la famosa descrizione della notte d’amore fra Katerina e il suo amante, con i glissando dei tromboni a mimare la penetrazione, fu ulteriormente accentuata dal direttore, Aleksandr Melik-Pasaev, peraltro un favorito del dittatore, che sapendo che Stalin lo ascoltava “bombò” oltremisura l’esecuzione.
FF: Il mitico interludio del primo atto! In effetti, stiamo parlando di quello che si può considerare il più grande amplesso di tutta la storia del teatro d’opera… non c’è, musicalmente, Thaïs o Salome che tenga… e siamo pur sempre nel 1934!
AM: Questo il racconto di Bulgakov: “Sentendo su di sé lo sguardo dei capi, Melik infuria, salta come un diavoletto, taglia l’aria con la bacchetta da direttore, canticchia a bocca chiusa con l’orchestra. Da lui il sudore gocciola come grandine”. Gli ottoni erano stati rinforzati per l’occasione. Shostakovich era “bianco come un lenzuolo” perché aveva capito che quella musica andava, semmai, attenuata. Stalin, pur sempre un ex seminarista, era molto pudico, detestava le allusioni sessuali e ogni descrizione esplicita. In questo, le sue opinioni coincidevano curiosamente con quelle della stampa Usa. Dopo la prima americana, nel ’35, il New York Sun scrisse che “Shostakovich è senza dubbio il maggiore compositore di musica pornografica della storia dell’opera”, mentre il New York Times parlò di “impudenza”.
FF: Mi convince. E le altre due?
AM: Shostakovich inserì nel libretto la satira dei poliziotti zaristi, che nel racconto di Leskov da cui l’opera è tratta non c’è. Ma quella satira colpiva allo stesso modo, e forse di più, l’ottuso ma feroce regime staliniano. Infine, la musica della Lady Macbeth del distretto di Mcensk è troppo raffinata e cosmopolita, avanguardista e piena di citazioni per servire da indottrinamento politico per le masse: “Caos invece di musica”, come da titolo dell’editoriale non firmato (quindi ancora più temibile, perché si sparse subito la voce che l’avesse scritto Stalin in persona) apparso due giorni dopo sulla Pravda e le successive scomuniche a Shostakovich per “formalismo”. Erano tempi in cui una recensione negativa poteva significare il gulag, o il plotone d’esecuzione. Parlando da critico: bei tempi!
FF: Temo tu saresti già in Siberia da tempo.
AM: Sicuro!
FF: In ogni caso, per tornare alla musica, secondo me la Lady va letta e ascoltata insieme alla Quarta e, soprattutto, alla Quinta sinfonia. La reazione di Shostakovich alla gogna staliniana venne mascherata da un apparente patriottismo, che poi troverà (ma sono tempi diversi) il suo apice nella Settima sinfonia, quella scritta per celebrare la resistenza russa durante l’assedio di Leningrado. Ci sono, insomma, modi diversi di reagire ai soprusi del potere. Da noi si gridava “Viva Verdi!”, lì si cercava di portare a casa la pelle distillando gocce di libertà musicale. Ma tornando all’opera, il soggetto, se ci pensi, è verista al cento per cento, anche se musicalmente siamo lontanissimi. Eppoi, come in ogni soggetto verista che si rispetti, secondo me a Shostakovich la protagonista Katerina stava umanamente simpatica. Non ne fa una donna crudele (come la lady di Shakespeare e poi di Verdi), ma una ragazza che soffre il grigiore di una vita banale.
AM: Certamente. Infatti Shostakovich omette dalla novella di Leskov il fatto che Katerina diventi madre e, costretta all’esilio in Siberia, abbandoni il figlio senza troppi rimorsi: “L’amore che provava per il padre, come accade spesso alle donne troppo passionali, non si era trasferito sul bambino nemmeno in minima parte”, scrive Leskov (in occasione della prima la Garzanti ha ripubblicato la novella nella sua collana dei “Piccoli grandi libri”). In Shostakovich, Katerina è più vittima che colpevole, fra un marito insulso e forse impotente, un suocero avaro e lascivo e un amante interessato e, alla fine, infedele, in un ambiente da deep Russia zarista che si immagina angusto e noioso come la Russia staliniana, anche se meno pericoloso. E’ una parola che va usata con parsimonia, all’esatto contrario di quel che succede oggi, ma Katerina sembra davvero una vittima del patriarcato… Tornando alla Scala, dimmi da chi ti aspetti di più: direzione, regia o cast?
FF: Mi aspetto moltissimo da Chailly, che in questo repertorio ha sempre fatto magie e così pure da Barkhatov che per me è un geno assoluto (la sua Norma lo scorso anno a Vienna resta uno degli spettacoli più belli degli ultimi tempi). Quanto al cast, io, purtroppo, ho in testa la Vishnevskaya e Gedda… quindi taccio.
AM: Voi melomani siete sempre gli stessi. Primo requisito delle grandi voci: appartenere a persone morte. Comunque hai ragione, questo Sant’Ambroeus promette bene.
Non resta che goderselo.