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“Essere o non essere”
Il primo Amleto operistico ha una “b” in più e un controtenore in scena
L'opera non è tratta da Shakespeare, ma dalla fonte cui ha attinto, le Gesta Danorum di Saxo Gramaticus. La prima intonazione operistica della storia è stata nel 1706 e ora è stata riesumata a Vienna e a Lodi da Raffaele Pe, protagonista, e Ilaria Lanzino, regista
Ambleto? Sì, Ambleto, con una “b” in più. E non tratto da Shakespeare, ma dalla fonte da cui anche il Bardo ricavò il suo, le Gesta Danorum di Saxo Gramaticus. La prima intonazione operistica della storia è questa, libretto di Apostolo Zeno e Pietro Pariati, musica di Francesco Gasparini, a Venezia nel 1706, precedendo l’Amleto senza “b” di Domenico Scarlatti e inaugurando una lunga sequenza di opere liriche che arriva, per il momento, all’Hamlet di Brett Dean passando, fra gli altri, per Mercadante, Faccio e Thomas. Le differenze fra Zeno-Pariati e lo Scuotilancia non finiscono qui: a parte parecchi dettagli della trama, Ofelia si chiama Veremonda; Gertrude, Gerilda; Claudio, Fengone e così via, ma il capolavoro è il nome attribuito al defunto papà di Ambleto, nientemeno che Orvendillo. Mentre il libretto c’è tutto, della partitura di Gasparini (1661-1727) ci sono arrivate soltanto le arie, piuttosto interessanti, e non i recitativi.
L’Ambleto è stato riesumato di recente all’An der Wien di Vienna dalla stessa coppia, Raffaele Pe protagonista e Ilaria Lanzino regista, che domenica l’ha ripreso al Teatro alle Vigne di Lodi, nell’ambito dell’interessante “Orfeo Week” dell’enfant du pays Pe e dal suo complesso La Lira di Orfeo. Esecuzione ufficialmente semiscenica, in realtà senza scene e in costumi moderni ma con citazioni antiche, assai belli, di Sara Marcucci, che si risolve in due ore di pura goduria teatrale. Pe & Lanzino decidono di sostituire i recitativi forse belli ma di certo perduti di Gasparini con brani dell’Amleto “vero”, avendo cura di conservare tutte le battute più famose e facendoli interpretare da dei doppi dei cantanti, tutte attrici e una più brava dell’altra (menzione speciale per l’Ambleta, Ilaria Genatiempo, fantastica). Che Lanzino fosse una grande regista lo si era capito alla sua Resurrezione, l’estate scorsa a Roma; ma che questo Am(b)leto potesse essere così potente e toccante è stata francamente una sorpresa. Compresa quella finale: compiuto il massacro generale, sopravvive solo Ofelia (per i nomi, per fortuna, sono stati ripristinati quelli shakesperiani) ed è lei a recitare “Essere o non essere” come gran finale.
La Lira di Orfeo suona quasi sempre bene, benissimo il violoncello solo di Marcello Scandelli, diretta dalla spalla Elisa Citterio, ma purtroppo amplificata perché le Vigne sono, in realtà, un’ex chiesa. Pe fa ovviamente Ambleto: il cantante è in ottima forma, l’interprete eccezionale nel ritrarre un Prence che fa il matto perché forse lo è davvero. L’altro controtenore, Maayan Licht, folleggia come Laerte con variazioni e balletti spericolati; intensissima e nobile insieme la Gertrude di Valentina Mastrangelo. A posto Claudio (Giovani Accardi) e Polonio (David Costa Garcia), con qualche insolito problema di intonazione l’Ofelia di Francesca Lombardi Mazzulli. Le due vegliarde sedute o forse tumulate dietro di me erano scandalizzatissime (è lirica o prosa? Dove andremo a finire, signora mia), il resto del pubblico entusiasta. A proposito, signore mie: è teatro. E pure grande.